Non sono stati giorni facili. Innanzitutto sul piano personale.

L’esito della formazione delle liste per le prossime elezioni, per quanto mi abbia gratificato per la mia posizione, ha comportato rinunce, cancellazioni, sostituzioni che mi hanno colpito, e anche amareggiato.

Sono davvero troppe le storie personali e politiche, le persone con le quali ho condiviso cinque lunghi anni di battaglie parlamentari, gli amici e le amiche che, nella terribile giostra e roulette della compilazione delle liste, sono rimaste fuori, spesso in modo doloroso e ingiusto se si guarda alla serietà e all’impegno di questi anni. A partire da Miriam e da Guido.

Ma penso anche ad amici come Ernesto Preziosi, Angelo Rughetti, Gigi Bobba, Angelo Senaldi, Lorenzo Basso, Donatella Ferranti e tanti altri che non cito, e che non ci saranno o faticheranno a rientrare.

Intendiamoci, tutto ciò è la conseguenza di questa legge elettorale, e non per caso un po’ in tutti i partiti, e non solo nel pd, si sono registrati mal di pancia e strascichi polemici pesanti.

Solo che il partito democratico aveva molto di più da perdere, perché il gruppo parlamentare era straordinariamente numeroso, in ragione della vecchia legge elettorale che dava uno smisurato premio di maggioranza poi dichiarato incostituzionale, e le nuove regole comportavano pertanto un sicuro e rilevante sacrificio.

Con l’aggiunta non trascurabile che, esattamente al pari del mattarellum, il nuovo sistema mette nelle mani della segreteria nazionale le decisioni ultime, che devono comporre un mosaico complicato che tenga conto delle istanze territoriali, delle componenti interne, e della coalizione, per quanto piccola essa sia.

Insomma, in qualche modo era inevitabile una enorme tensione, e profondi dissensi e lacerazioni, che puntualmente sono avvenuti. E sono assai giustificate, in tanti casi, recriminazioni e critiche per scelte poco avvedute, o inique, o discutibili.

Credo anche che non sia peregrina la critica che imputa al segretario di aver cercato di plasmare un gruppo compatto, a scapito della rappresentanza corretta delle componenti interne.

Ma su questo mi permetto di osservare anzitutto che anche in passato, laddove possibile, chi aveva le leve del comando le ha usate, non appena possibile, senza andare molto per il sottile.

E mi pare viceversa del tutto fuori luogo la lettura di una composizione del futuro gruppo parlamentare fatta quasi esclusivamente di ultrà renziani.

Non è così, ci sono comunque molte persone autorevoli e di grande qualità (a partire dai ministri uscenti), ci sono innesti rappresentativi della società civile, ci sono molti candidati delle minoranze e delle liste alleate, e vi posso assicurare che anche la grande maggioranza dei candidati noti per essere sostenitori della linea politica di Matteo Renzi sono persone leali, autonome e serie.

E voglio anche aggiungere, sapendo con ciò di dire una cosa un po’ provocatoria,  che nella stagione critica che si apre, forse non è del tutto sbagliato cercare la maggiore omogeneità e compattezza nelle truppe parlamentari.

Ho vissuto dunque con un misto di gratificazione e amarezza i convulsi giorni passati.

E ora il sentimento che predomina è invece il senso di responsabilità, la grande responsabilità di cui mi sento caricato, nei confronti dell’intero partito democratico, nei confronti del paese.

Sono candidato da capolista, dunque con una speciale posizione e visibilità, e io per primo devo dunque cercare di rappresentare al meglio, insieme a tutti gli altri candidati e ai tanti volontari e militanti che mi aiuteranno, le ragioni, gli argomenti, i motivi per dare il consenso al partito democratico, dentro una stagione molto incerta, di fronte a elezioni che possono rappresentare uno spartiacque nella storia del paese, e forse dell’Europa.

Noi siamo infatti il fronte più avanzato, e più fragile, tra le grandi democrazie europee, del populismo, cioè della sfida che i movimenti politici gonfiati dalla protesta montante di chi si sente escluso, di chi ha perso la speranza, di chi ha paura del proprio futuro, stanno lanciando alle nostre democrazie.

Una sfida alimentata dal rancore, e che alimenta il rancore, che rischia di mettere a repentaglio la costruzione europea (come ci insegna la brexit, invocata e vinta dagli amici di Salvini e Grillo), cioè il progetto politico che ha consentito al nostro continente il più lungo periodo di pace e prosperità mai sperimentato prima, e che punta alla costruzione di muri e confini, all’isolamento anziché all’apertura, come indica la strada intrapresa da Trump e dai populisti dell’est Europa.

Da noi questa sfida è molto insidiosa, perché i movimenti che suggeriscono queste strade, Lega Nord, M5S e anche Fratelli d’Italia, hanno consensi stimati intorno al 40-45%, come in nessun altra grande democrazia europea.

Consensi alti, che indicano quanto siano diffuse le ansie e le paure, a cui ovviamente occorre dare una risposta politica credibile e convincente, ma su un altro terreno.

Quello di una paziente e tenace opera di ricucitura del tessuto sociale, attraverso l’attuazione di soluzioni pragmatiche, concrete e possibili ai disagi e ai timori che colpiscono gli italiani, dall’immigrazione al lavoro, e invocando maggiore integrazione europea dentro un quadro di maggiore solidarietà e attenzione allo sviluppo.

Ne più ne meno ciò che faticosamente ha fatto in questi anni il partito democratico di governo, che oggi rappresenta in modo indiscutibile l’unica vera garanzia di continuità di un percorso serio e credibile per uscire davvero dagli effetti più duri e inaccettabili della crisi di questi anni, evitando pericolosi salti nel buio.

E voglio ribadirlo con chiarezza: solo il pd, non altri. Non Forza Italia, alleata con il populismo più retrivo e pericoloso, quello di Salvini, non Liberi e Uguali, una lista che farà solo perdere tanti collegi al partito democratico senza guadagnarne neanche uno.

È una partita molto difficile, che giochiamo controvento, nella quale però abbiamo un alleato. I risultati di cinque anni di governo, non chiacchiere, non promesse, ma segni tangibili che il cambiamento è possibile, anzi è in atto. E che chi fa scelte diverse finirà per fermarlo.