Sono comprensibili le preoccupazioni che accompagnano la decisione sul taglio dei parlamentari. Si tratta in effetti di un taglio lineare, fine a se stesso, che viene venduto dal M5S come una vittoria contro la casta, e giustificato con l’esigenza di risparmio. Come se la democrazia fosse un lusso, un costo del quale liberarsi.
Insomma, si dice, questo taglio rappresenta un attacco al parlamentarismo, un attacco alla democrazia rappresentativa.
Preoccupazioni legittime, anche alla luce della grancassa del M5S.
E tuttavia c’è un che di unilaterale, di emotivo, di schizofrenico in queste critiche.
Perché occorre sottolineare che una congrua riduzione dei parlamentari è stata nell’agenda di tutte le forze politiche da almeno 25 anni ad oggi.
Con la differenza, rispetto a quanto avvenuto ieri, che quella riduzione si collocava sempre dentro un disegno di riassetto complessivo del nostro sistema istituzionale.
Differenza non da poco, certo.
Ma come dimenticare quanto successo il 4 dicembre del 2016, con l’onda popolare che ha travolto esattamente una proposta di riforma organica delle nostre istituzioni, che prevedeva tra le altre cose esattamente un taglio dei parlamentari?
Allora non ci si può lamentare oggi del fatto che si procede ad un taglio fine a se stesso, perché evidentemente è solo attraverso interventi limitati e spezzettati che si può, si riesce a intervenire per modificare il nostro sistema istituzionale.
Tutto bene dunque? No di certo.
Siamo perfettamente consapevoli del fatto che se questo riforma rimarrà isolata vi sarà il rischio di una alterazione degli equilibri costituzionali del nostro paese.
E questa era esattamente la ragione per la quale ci eravamo opposti a questa riforma nelle prime letture, e quella per cui oggi invece abbiamo cambiato atteggiamento.
Non solo, cioè, abbiamo deciso di votare a favore perché questo faceva parte di un accordo di governo, ma soprattutto perché abbiamo ottenuto rassicurazioni, ed un impegno politico chiaro, che a questo taglio si accompagneranno gli accorgimenti idonei a garantire quegli equilibri, da una nuova legge elettorale, ad una riforma dei regolamenti parlamentari, fino alle modifiche costituzionali in grado di armonizzare gli elettorati delle due camere, e dare maggiore stabilità agli esecutivi.
Non poco, e non banale.
Una cambiale in bianco? No, un impegno politico serio, sul quale, questo sì, andrà giudicato e misurato il partito Democratico nei prossimi mesi.
Allora, credo occorra meno emotività nelle reazioni, nei giudizi, e vigilare invece affinché si completa e concluda il percorso di riforme avviato ieri.
Mi sembra un atteggiamento più costruttivo e più utile, e certamente più lineare e comprensibile di chi annuncia il voto favorevole in aula salvo annunciare che farà compagna per il no al referendum.