Ieri abbiamo chiuso i lavori della Camera, che riprenderanno i primi di settembre. Un periodo di stacco farà bene anche a noi, per ricaricare un po’ le batterie dopo mesi molto impegnativi, in vista dell’autunno caldo che ci aspetta.

Dopo l’uscita dei dati deludenti di crescita del Pil, che ci hanno messo di fronte ad una realtà molto più difficile di quello che speravamo, ho visto una buona reazione, quella che mi aspettavo, da parte di Renzi e del Partito Democratico. Nessuno scoraggiamento, nessuna voglia di abdicazione dalla responsabilità, ma la diffusa manifestazione della convinzione di essere incamminati sulla strada giusta, per quanto difficile e complicata essa sia, e di volerla percorrere fino in fondo, pagando tutti i prezzi che qualunque uomo di stato con visione politica sa dover affrontare in un percorso lungo.

I 10 punti indicati da Renzi nella sua lettera ai parlamentari riassumono una strategia che io condivido pienamente, che individua le grandi questioni che intende affrontare di qui al 2018, in un ambizioso programma di riforme strutturali del nostro paese senza le quali non saremo in grado di uscire dalla crisi che ci tiene con le sue spire strette e avvolgenti.

Non c’è alternativa che passare di lì, dalla riforma delle nostri istituzioni, che semplifichi e renda più snello il procedimento legislativo, che introduca buone dosi di sobrietà e morigeratezza nella vita pubblica, che dia stabilità e orizzonte ai governi, fino alle profonde riforme di quegli aspetti della pubblica amministrazione e dell’apparato normativo che si sono trasformati nel tempo in vincoli sempre più pesanti e profondi alle nostre capacità di crescita, dalla burocrazia alla giustizia, dal mercato del lavoro al fisco, alla scuola.

Solo raggiungendo quegli obiettivi il nostro paese potrà essere messo nelle condizioni di dispiegare le proprie enormi potenzialità, tornando ad essere locomotiva e non ultimo vagone d’Europa, e riassorbendo progressivamente il drammatico tasso di disoccupazione oggi presente.

Sappiamo bene non si tratta di una impresa semplice. Il nostro paese è in crisi da almeno 6 anni, ma non cresce da 20, vive cioè in una condizione di stagnazione e depressione economica che data da qualche decennio. E uscirne non dipende, oggi, solo da noi. Noi possiamo e dobbiamo proseguire con tenacia nella strada delle riforme, mettendo tutte le nostre energie, la nostra testa e la nostra responsabilità su un cammino accidentato ma necessario.

Ma l’Europa deve darci una mano.
Finchè non si scardinerà la politica dell’austerità monetaria imposta dai paesi nordici, capeggiati dalla Germania, alla quale faticosamente la BCE cerca di sottrarsi, non troveremo le risorse per agganciare la ripresa, e finiremo strangolati dal nostro debito. E ciò significa, in primo luogo, passare in modo realistico dalla lotta all’inflazione alla lotta alla deflazione, vero pericolo che oggi stiamo correndo, e che impone misure forti e decise da parte della Banca Centrale.

La deflazione, cioè l’abbassamento o la stagnazione dei prezzi, cui oggi siamo prossimi, produce effetti nefasti sui paesi in crisi e con forte debito come il nostro: deprime i consumi, perché invita a posticipare acquisti e investimenti, deprime prestiti e investimenti, perché gli imprenditori temono di dover vendere i prodotti con margini sempre inferiori, impedisce il rientro dal deficit, perché comprime il PIL lasciando inalterato il debito, rende impossibili aumenti di produttività, perché deprime i salari.

E’ ora dunque che la BCE si liberi del giogo di tedeschi e paesi nordici e metta in atto tutto ciò che è necessario per raggiungere l’obiettivo dichiarato del 2% di inflazione, che riattiverebbe consumi, investimenti, positive dinamiche salariali, e consentirebbe di abbassare il deficit.
A partire dal cosiddetto “quantitive easing”, ovvero la stampa di moneta finalizzata all’acquisto di titoli del debito dei paesi membri, al fine di aumentare la moneta circolante e alzare progressivamente il tasso di inflazione.

Senza questa condizione esterna, non nascondiamoci, la nostra impresa sarà molto più difficile: noi potremo fare i nostri compiti, potremo riformare profondamente il paese, ma non saremo messi nelle condizioni di avere sufficienti risorse per aiutare l’economia, né di accelerare alcuna ripresa.

Accanto alla forte azione di riforme interne, il nostro governo dovrà dunque mettere in campo anche una decisa e accorta politica europea di alleanze e convergenze, al fine di aprire il terreno e rendere possibile una diversa politica monetaria della Banca Centrale.

A settembre dovremo dunque ripartire decisi con questa agenda in mente, spessa e articolata, ma anche chiara e lucida.