Mi sono letto la trascrizione integrale delle deposizione di Napolitano nel processo sulla presunta trattativa tra stato e mafia dopo le stragi del 1993.
Una testimonianza che era stata fortemente richiesta dalla procura di Palermo, anche a costo dei forti rischi di pregiudizio all’immagine, al ruolo e al prestigio della massima istituzione del paese, e che la Corte d’Assise aveva alfine autorizzato.
Mi sono letto tutte le oltre 80 pagine di deposizione, nel corso della quale Napolitano ha sostanzialmente fatto un corso di diritto costituzionale, spiegando in che modo funzionano i rapporti istituzionali tra le massime cariche dello stato, quale ruolo hanno i consiglieri del presidente, come funzionano la aule parlamentari.
E ho faticato a scorgere, nelle domande dei giudici e degli avvocati, fatti e circostanze di un qualche rilievo penale che meritassero un approfondimento, che meritassero di scomodare il presidente della repubblica.
E ci ho trovato allora una conferma ai rischi che corre la giustizia quando pretende di processare la politica.
Per usare una espressione di Napolitano, più che un processo mi è sembrato ‘un talk show sulla storia della repubblica’.