Mi aveva impressionato nei giorni scorsi una cartina di Londra pubblicata da un giornale, che mostrava come in maggioranza a favore dell’Unione europea fossero gli elettori del centro città, quelli più benestanti e istruiti, e in maggioranza pro brexit tutta la corona delle periferie.

E mi veniva in mente il consenso del partito democratico alle ultime elezioni, forte nei centri storici, minoritario nelle borgate popolari.

Quello che sta succedendo all’Europa, all’occidente, questa rabbia crescente nei confronti dell’establishment, che ovunque alimenta i peggiori populismi, e che ieri ha portato alla scioccante decisione degli inglesi di uscire dalla UE, ci sta precipitando in una terra incognita, ricca di oscure incertezze.

E ci obbliga a fare i conti con una realtà che non può più accontentarsi delle vecchie parole d’ordine, di richiami ad un europeismo di maniera che rischia di rivelarsi vuoto.

Io ho la sensazione che questa ondata sia il lascito di una crisi economica profonda che ha lacerato il tessuto sociale della nostra società.

La crisi del 1929 produsse le premesse per la seconda guerra mondiale.

Quella degli anni scorsi sta causando effetti ancora in corso e imprevedibili.

Vi sono dati piuttosto eloquenti che attestano il diffuso aumento delle disuguaglianze (l’indice Gini che misura questo dato si è impennato dal 2008 ad oggi), un aumento spaventoso delle persone che vivono in condizione di povertà o deprivazione materiale (e l’Italia guida questa classifica, con una incidenza della povertà relativa tra i minori che ha raggiunto la percentuale impressionante del 19%).

A ciò si aggiunga la crisi dei migranti, che arriva proprio quando il continente si trova alle prese con queste difficoltà.

In tutto ciò, l’Europa, le parole d’ordine della integrazione economia e politica, appaiono consunte, vuote, perché essa appare sempre più come un vincolo che come una opportunità.

Dunque parlare di pace, di prosperità, come dei grandi obiettivi garantiti da 70 anni di integrazione europea oggi non basta più.

Siamo di fronte a una sfida enorme, che solo la politica come grande intuizione e interpretazione della storia può affrontare.

Speriamo di esserne capaci.