La politica italiana ci ha abituato a un quadro in evoluzione perenne. Si può dire anzi che da vent’anni, da quando cioè il sistema che aveva retto ininterrottamente le sorti del paese dal dopoguerra in poi si è sfaldato, siamo precipitati in una fase perennemente mobile, liquida, che ha bruciato partiti, simboli, sigle, in una faticosa ed ancora non conclusa ricerca di un assetto più solido e stabile. Negli ultimi anni due anni, se possibile, questa evoluzione ha avuto una ulteriore accelerazione, coincisa con l’avvio del crepuscolo dei leader che del ventennio passato erano stati gli attori principali.
Sono nati e finiti nello spazio di pochi mesi partiti molto personalizzati, si è affacciato sulla scena prendendosi un consenso inaspettato un movimento di esplicita rottura del sistema, che ha di fatto preso il posto di quello che aveva contribuito alla spallata vent’anni fa, sono risorte vecchie sigle e ne sono definitivamente sparite altre che avevano animato il dibattito politico fino all’altro ieri. Una rapida e convulsa evoluzione che non sembra ancora terminata, e dentro la quale è davvero difficile riuscire a individuare le linee di continuità e le soglie di frattura, le rotte possibili e gli approdi sicuri.
In tutto ciò il Pd, che oggi e’ di fatto l’unico vero e strutturato partito italiano, pur se attraversato anch’esso da articolazioni interne spesso eccessivamente conflittuali, appare obiettivamente dotato di una solida e robusta costituzione, e può essere così un elemento di stabilità, può rappresentare un punto fermo e di riferimento in mezzo all’incertezza generale. Alla condizione, io credo, che dia costantemente il senso di governare l’incertezza del presente tenendo fissa la barra sull’unica stella polare che deve guidarlo, ovvero l’interesse del paese, che viene sempre prima dell’interesse di parte e di quello dei singoli.
In questa direzione deve allora muoversi anche la nuova forte e carismatica leadership uscita dal congresso, sapendo che il contesto mutevole e fragile del quadro politico non permette oggi di confidare su un orizzonte stabile e di lunga durata, che pure le condizioni del paese non consentono avventurismi, e che occorre dunque massimizzare obiettivi e risultati di breve periodo. Spetta dunque al partito democratico, io credo, e al suo nuovo leader, dire con chiarezza e limpidezza quali sono le riforme possibili, utili e necessarie al paese da realizzare in un arco breve di qualche mese, pungolando e stimolando il governo e gli alleati a perseguirle con tenacia e lealtà.
Si faccia un’agenda delle cose possibili, si dica agli italiani quali impegni ci si assume per aiutare ad avviare il percorso di uscita dalla crisi, si individuino con chiarezza gli obiettivi minimi di riforma dell’assetto istituzionale che sciolgano rigidità e complessità che zavorrano il sistema. E forse poi, con un pizzico di serenità in più, e con qualche barlume di credibilità recuperata alla classe politica, saremo pronti finalmente a uscire dallo stato di convulsione ed emergenza continua alle quali siamo stati abituati da troppi anni a questa parte.
Tratto dall’editoriale dell’ultimo numero della rivista “Città e dintorni”
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