Capita a tutti di inciampare su un cognome, ma se in piena bagarre d’aula succede alla Presidente della Camera, che chiama i deputati a votare su un emendamento di un collega, Cozzolino, sbagliandone una sillaba, è facile che si scateni una sommessa ilarità tra i banchi di tutti gli schieramenti. Certo, la Boldrini si è subito corretta, ma dopo aver vissuto con un certo fastidio la reazione dei presenti, si è rivolta ad un dirigente al suo fianco sussurrando, a microfoni ancora aperti, «certo sembra di stare a scuola».

Arriverà in aula questa settimana, dopo travagliata gestazione, la legge sulla detenzione domiciliare, messa alla prova e processo agli irreperibili. E la cosa significativa, come si è visto da quanto successo nei giorni scorsi in commissione Giustizia, è l’asse che si è venuto a creare tra grillini e leghisti, ben poco disposti a far passare questa piccola rivoluzione senza colpo ferire.

E’ uno dei renziani del Pd, Alfredo Bazoli, a puntare il dito su questo tandem inedito che si è formato «per stoppare una proposta che ha ricevuto il plauso unanime di avvocatura, magistratura giudicante e di sorveglianza e che punta a introdurre nell’ordinamento penale alcuni nuovi strumenti per snellire i procedimenti e rendere meno inevitabile il ricorso alla carcerazione».

Non solo si consente di comminare la detenzione domiciliare per reati puniti fino a sei anni, ma la messa alla prova consente al reo di chiedere, ad inizio processo, di svolgere lavori di utilità sociale, al termine dei quali, in caso di esito positivo della prova, il reato e il processo si estinguono. E qui il limite e’ quello dei reati puniti con pena massima fino a quattro anni.

In commissione la Lega ha fatto ostruzionismo, presentando centinaia di emendamenti per rallentare i lavori, conclusi alle due di notte. «Meno prevedibile – fa notare Bazoli – la scelta del MSS di allinearsi alla Lega sull’opposizione al provvedimento, per ragioni legate alla sicurezza e alla legalità, a loro dire pregiudicate dal provvedimento. Rivelando così l’ispirazione largamente populista e demagogica del m5s e smascherando la loro reale cultura politica che solo per un abbaglio da alcuni è ritenuta accostabile a quella della sinistra riformista».

Fonte: Carlo Bertini, La Stampa, Lunedì 24 Giugno