Ho partecipato lunedì a un convegno organizzato a Brescia dalle associazioni del territorio che si occupano di carcere, che aveva ad oggetto la condizione dei detenuti di origine straniera.
È stata l’occasione per fare il punto su una delle emergenze con le quali abbiamo dovuto fare i conti in questa legislatura.
Ricorderete tutti che pochi anni fa l’Italia venne condannato dalla corte di giustizia europea per il trattamento “inumano e degradante” riservato ai detenuti nei penitenziari italiani, in ragione dell’estremo sovraffollamento delle strutture.
Una condizione testimoniata dai freddi numeri, da un picco raggiunto nel 2010 di circa 67.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di circa 42.000 posti.
Ma bastava fare un giro nel carcere bresciano di Canton Mombello per realizzare cosa quei numeri significavano nella realtà: celle con letti a castello a tre piani, che ospitavano fino a 7-8 persone in spazi ridotti, e in condizioni di degrado avvilenti.
Una condizione inaccettabile per un paese civile, che ci esponeva oltre tutto a rischi risarcitori enormi, come ci aveva ammonito la corte di giustizia europea.
Per tale ragione il parlamento a inizio legislatura fu destinatario di un forte richiamo da parte del capo dello stato, cui seguirono appelli di svariate personalità ad adottare provvedimenti di natura eccezionale, come indulto o amnistia, pur di risolvere una situazione che ci metteva in forte imbarazzo nei confronti dei nostri partner europei e occidentali.
La scelta del governo è stata però un’altra, vale a dire quella di agire con riforme di natura legislativa, e con una accelerazione delle riqualificazioni dei penitenziari, ciò che consentisse una soluzione strutturale della questione, a differenza di quanto accaduto in passato.
I nodi erano ben conosciuti, si trattava di modificare alcuni aspetti della nostra normativa che evitassero il ricorso alla carcerazione quando non strettamente necessaria, incrementando le misure alternative, riducendo la carcerazione preventiva, modificando le pene edittali per alcuni tipi di reato.
Abbiamo lavorato molto in questa direzione negli ultimi due anni.
E i risultati sono stati raggiunti, come testimoniano i numeri di oggi, e come riconosciuto dagli stessi organismi europei che ci avevano messo sotto accusa.
Oggi siamo quasi in equilibrio: i posti disponibili nei penitenziari italiani sono poco meno di 50.000, e i detenuti presenti circa 52.000.
Un’emergenza risolta, dunque, e in modo strutturale e non estemporaneo.
Certo, molto resta da fare.
Il carcere resta un’esperienza inidonea a garantire un effettivo recupero dei condannati, il tasso di recidiva è troppo elevato, occorre ripensare profondamente il sistema delle pene. Ed è su questo che ci si sta muovendo ora, con una riforma complessiva dell’ordinamento penitenziario contenuta in un disegno di legge che abbiamo appena approvato alla camera ed ora è all’esame del senato.
E occorre rinnovare le strutture fatiscenti e degradate che ancora vi sono nel nostro paese, una delle quali è certamente il carcere di Canton Mombello.
Ma anche qui, una notizia positiva: il ministero sta predisponendo un nuovo piano carceri nazionale nel quale il nuovo penitenziario a Brescia diverrà prioritario.
Forse, anche su questo, è davvero la volta buona.