Dopo oltre un mese e mezzo dalle elezioni, e senza che sia alle viste una soluzione allo stallo politico, credo sia opportuno provare e mettere in fila qualche ragionamento, tentare di interrogarsi sugli sviluppi di questa crisi.
Senza pregiudizi, senza slogan, senza spacciare certezze che nessuno possiede, men che meno io.
Intanto diciamo che la posizione assunta fino a qui dal partito democratico era doverosa, obbligata e giusta.
Noi siamo usciti perdenti dalle elezioni politiche, ancorché siamo ancora il secondo partito italiano, ed era del tutto naturale che i partiti vincenti, ed in particolare il M5S e la Lega, fossero lasciati negoziare senza alcun alibi, senza alcuna sponda, senza alcun contributo del pd alla discussione.
Hanno vinto, facessero loro, come si è detto.
Non una grande prospettiva per il paese, un governo cinque stelle Lega, e tuttavia una soluzione che aveva il pregio della chiarezza, nel rispetto degli esiti delle urne, con il vantaggio che avrebbe consegnato al partito democratico la prateria sconfinata dell’opposizione.
Insomma, per noi uno scenario non esaltante ma di sicuro promettente sul piano dei consensi futuri.
E non si può dire che questo esito non sia stato con pervicacia e ostinazione tentato da Di Maio e Salvini, che non hanno perso tempo per spartirsi tutti gli organismi eletti in seno alle camere, lasciando le briciole al pd, in una esibizione muscolare, arrogante e proterva.
Senonché il tentativo di accordo politico si è prolungato in uno sterile gioco di veti incrociati, di personalismi, di distinguo che ha prodotto lo stallo attuale, e che l’incarico dato alla Casellati dal presidente della Repubblica probabilmente si incaricherà di sanzionare definitivamente, celebrando il naufragio definitivo dell’ipotesi di accordo Centrodestra M5S.
E allora, cari amici, se, come appare probabile, il M5S e il centrodestra non ci fanno il regalo di accordarsi e fare il governo, lasciandoci comodamente all’opposizione, che si fa?
È chiaro che si apre un nuovo scenario, al quale il partito democratico credo debba arrivare preparato, alla luce di una discussione limpida e franca, cui cerco di contribuire.
Tre sono gli sbocchi possibili: le elezioni anticipate, verosimilmente a ottobre, un governo tecnico di transizione, oppure un governo politico diverso da quello ad oggi in discussione.
Parto dal primo scenario, le elezioni, che in realtà dovrei trattare per ultimo, perché sarebbero l’ultima spiaggia, naufragato ogni altro tentativo.
Una ipotesi che io tenderei a scongiurare perché, come ci dicono tutti i sondaggi attuali, e come peraltro certifica anche l’esperienza spagnola di qualche anno fa, il rischio vero e concreto sarebbe il riprodursi dello scenario attuale, con scostamenti nei consensi non sufficienti a modificare radicalmente il quadro.
Con tutto ciò che questo comporterebbe per la tenuta del paese, di fronte a mercati e investitori che come noto guardano con particolare attenzione alla stabilità politica di un paese.
Insomma, affidarsi a nuove elezioni come se esse fossero in grado di sciogliere i nodi politici rischia di essere una velleità e un azzardo a esito nullo, che ci ripoterebbe alla casella di partenza, solo in un contesto economico e politico a quel punto assai peggiore.
Occorre dunque esplorare fino in fondo le altre due ipotesi, governo tecnico (o del presidente), oppure governo politico alternativo.
Il governo tecnico potrebbe essere la penultima spiaggia, prima delle elezioni, e sarebbe figlio di un tentativo del Presidente della Repubblica di coinvolgere tutti i partiti in un esecutivo privo di colore politico, di transizione, che avrebbe il compito di traghettare il paese oltre l’autunno, facendo la legge finanziaria e magari tentando di riformare la legge elettorale. Un governo di decantazione, utile anche a prendere tempo, in attesa di capire se e come maturare nuovi scenari politici, o al più per arrivare a nuove elezioni in tempi un po’ meno compressi.
Una ipotesi, questa, alla quale naturalmente il pd non potrebbe sottrarsi.
Ma che io vedo assai difficile, e forse inopportuna, per un paio di ragioni.
Intanto per le debolezza di questo ipotetico governo: un governo di tutti e di nessuno, probabilmente inane, impossibilitato a fare alcunché di significativo, impegnato solo a gestire l’ordinaria amministrazione. Un governo travicello, ciò che l’Italia in questo momento forse dovrebbe evitare.
C’è poi una ragione politica di forte dubbio su tale ipotesi, e cioè che io temo che qualcuno si sfilerebbe da questa responsabilità, in particolare chi avrebbe solo da lucrare dallo starsene nel libero cantuccio dell’opposizione, ovvero proprio la Lega e il M5s.
Basterebbe che uno solo di essi si sfilasse, per rendere quell’ipotesi e quell’esecutivo ancora più debole e forse impraticabile, perché darebbe un ulteriore vantaggio competitivo a movimenti che hanno prosperato sulle invettive e gli slogan, e che oggi, invece, andrebbero messi davanti alle loro responsabilità, alla sfida del governo.
Insomma, se s’avrà da fare si farà, il governo tecnico, ma io ho il timore che alla fine non si realizzeranno le condizioni politiche per riuscirci, precipitando a elezioni, e credo in ogni caso che non sarebbe una soluzione molto brillante, per gli scenari politici futuri e per il partito democratico.
Resta da esplorare l’ultimo scenario, che poi sarà il primo che saremo chiamati a valutare nella nuova fase.
Ovvero quello di un governo politico, da costruirsi su alcuni punti chiari ed espliciti di programma, del quale faccia parte anche il partito democratico.
Uno scenario ovviamente assai impervio, perché si tratterebbe di condividere il percorso con forze politiche alternative e molto diverse da noi, ma che non si può scantonare con una scrollata di spalle, se non altro perché le alternative sarebbero quelle già analizzate, non granché per il paese e per il Pd.
Ora, un accordo con il centrodestra a trazione Salvini è escluso categoricamente, con un veto esplicito e chiaro, dallo stesso Salvini.
Il che ci mette al riparo dall’imbarazzo di doverci sedere al tavolo con Le Pen, Orban, Farage, ovvero gli alter ego di Salvini, i suoi punti di riferimento europei, i sovranisti, tutti coloro che mettono in discussione l’unione europea, l’alleanza atlantica. Insomma il modello della risposta da destra alle paure e incertezza dell’opinione pubblica europea.
Se così è, resta in campo solo un altro scenario, quello di un tavolo con il M5S.
Ipotesi molto hard, mi rendo conto. E molto rischiosa.
E tuttavia, ripeto, che dovremmo affrontare, e a mio modo di vedere in modo pragmatico, serio e limpido, sapendo che le alternative sarebbero probabilmente anche peggio.
E dunque occorrerebbe anzitutto verificare la praticabilità del tavolo alla luce di alcuni paletti qualificanti e molto chiari.
Il pd dovrebbe cioè andare a vedere le carte indicando le cose irrinunciabili, a partire dall’impossibilita’ di interrompere il percorso di riforme attuato fino a qui.
E dunque, per fare alcuni esempi:
– la riforma del Jobs act va completata e corretta, non smantellata;
– la riforma del welfare, dal reddito di inserimento alle misure su disabilità e non autosufficienze, va incrementata, non smantellata;
– le misure di industria 4.0 vanno ulteriormente affinate e promosse, non rivoluzionate;
– si rispettano le regole di bilancio europee, e la flessibilità si conquista con le riforme, come fatto fino ad oggi: per esempio approvando in tempo la riforma del fallimento, che Bruxelles valuterebbe positivamente.
– in Europa si sta con Macron, non con Orban, e si sostiene l’idea di una maggiore integrazione, anche a diverse velocità se ciò occorresse.
Ma oltre a ciò, occorrerebbe essere chiari su una precondizione irrinunciabile, che riguarda le regole di ingaggio.
Uno dei principali punti di resistenza e diffidenza a qualunque dialogo con il M5S attiene all’opacità dei loro metodi decisionali, alla scarsa trasparenza delle loro scelte, alle giravolte spesso disinvolte che hanno caratterizzato le loro posizioni.
È impossibile fare accordi politici senza una limpida assunzione di responsabilità politica, davanti agli italiani, dei contraenti.
Il che escluderebbe a priori ogni ingerenza sulla discussione e sulle scelte conseguenti del web, della finta democrazia diretta.
Accordi politici seri, trasparenti, e nessuna giravolta successiva, magari giustificata da fantomatiche consultazioni sul web: questa la precondizione irrinunciabile per qualunque discussione.
Il che non significa non sottoporre ad una consultazione preventiva dei propri iscritti e simpatizzanti un eventuale ipotesi di accordo.
Anche qui, il lungo e difficile percorso di confronto che, superati gli scogli e le condizioni sopra sommariamente elencati, ci portasse ad arrivare ad esiti positivi non potrebbe, per mio conto, e come passaggio finale, che passare attraverso il vaglio, la valutazione e la decisione degli iscritti al pd, come accaduto in Germania con la Spd, perché ovviamente si tratterebbe di scelte estremamente impegnative e dirimenti, che dovrebbero trovare una condivisione della base.
Se poi invece questo confronto, questa discussione, non dovesse portare ad un esito favorevole, perché dovessimo constatare che le condizioni poste non sono accettate, e corressimo il rischio di sembrare la semplice stampella di un governo 5S, allora sarebbe doveroso sfilarsi.
Ma lo faremmo alla luce del sole, con dignità, avendo corrisposto in modo responsabile al nostro ruolo politico, e potremmo affrontare gli altri scenari, e anche eventualmente le elezioni anticipate, in modo più sereno, con una patente di serietà e credibilità che immagino sarebbe apprezzata, e scaricando integralmente su 5S e Lega la eventuale responsabilità del fallimento della legislatura.
Insomma, e in ultima analisi, credo sia utile oggi nella seconda fase di questa crisi politica aprire una discussione seria, politica, senza sconti, sugli scenari che abbiamo di fronte, uscendo dagli slogan, mettendo in fila le ipotesi, e cercando di capire cosa sia meglio, oggi, in questo contesto, per il partito democratico, ma anche e soprattutto per il paese.