Questa settimana si concludono i lavori della camera per la pausa estiva.

Una sosta che ci servirà per ricaricare un po’ le batterie, in vista di una ripresa autunnale che si annuncia impegnativa.

Ma la pausa ci consente anche di rifiatare, e così di soffermarci un poco di più a riflettere sul nostro percorso, sulle nostre prospettive.

Lo scenario che fa da sfondo alle nostre scelte, e che in misura non trascurabile le condiziona, non è molto rassicurante.

Tutto l’Occidente è alle prese con una pericolosa combinazione di vicende, condizioni economiche, pulsioni crescenti: il lascito pesante della lunga recessione che ha colpito in modo più o meno pesante tutte le economie avanzate, fatto di diseguaglianze crescenti e di insicurezze diffuse, la faticosa uscita dalla crisi economica, che stenta a prendere un direzione decisa, l’emergenza migranti che ha colto impreparata e ha mostrato le fragilità dell’Europa, e insieme a ciò i ripetuti attacchi e le minacce del terrorismo islamico che ha attecchito nelle periferie degradate d’Europa.

Una miscela esplosiva che sta alimentando un risentimento e un rancore diffusi verso le classi dirigenti, e sta prendendo la via di populismi confusi e irrazionali, di cui la brexit ha rappresentato la manifestazione più clamorosa.

Tutto ciò rende ancora più difficile lo sforzo del nostro governo, perseguito con ostinazione, di fare tutto il possibile per invertire la rotta del declino, per riavviare il motore inceppato dell’economia, per intraprendere e consolidare un ciclo economico espansivo.

La revisione al ribasso delle previsioni di crescita, una delle velenose conseguenze della brexit, rappresenta una obiettiva doccia fredda sulle nostre aspettative e sulle speranze e attese del paese.

Ciò significa che l’uscita dalla crisi sarà più lenta del previsto, che i frutti della politica espansiva che si è cercato di impostare saranno colti più in là.

Non bisogna tuttavia scordare e trascurare i risultati già raggiunti, perché essi ci suggeriscono che la strada intrapresa è corretta.

La crescita è bassa, è vero, ma c’è, ed è destinata a crescere progressivamente, la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è in lieve ma costante diminuzione, i segnali di espansione dei consumi sono confortanti.

Credo siano risultati non casuali, ma figli del tentativo di trasformazione del paese più significativo e intenso degli ultimi decenni, e che ha prodotto riforme importanti in tanti ambiti e settori del nostro paese.

Uno sforzo non privo di contraddizioni, di errori, di lacune, e che però ha consentito di invertire la rotta del declino, di trasformare la disillusione del paese in fiducia e speranza, di intraprendere un percorso incoraggiante, di ridare un po’ di dignità alla politica.

Non è poco.

Ma le difficoltà e i segnali di incertezza, interni ed esterni, ci dicono che questo percorso appena iniziato è fragile e a rischio, va consolidato.

E tra ottobre e novembre avremo due appuntamenti importanti, che ci diranno se e come proseguiremo, uno dei quali decisivo.

Intanto la legge di bilancio, che dovrà fare i conti con la riduzione delle previsioni di crescita, e dunque con un fabbisogno aumentato. Sarà necessario, se si vorrà mantenere il necessario impianto espansivo e non difensivo della manovra, ottenere dall’Europa l’ennesima deroga rispetto agli impegni richiesti di riduzione del deficit.

Una deroga che ci siamo guadagnati negli anni scorsi grazie alle riforme approvate, e grazie anche alla oramai acquisita consapevolezza, a Bruxelles, cui ha contribuito anche il nostro governo, che la rigidità delle regole di austerity è stata una delle cause dell’avvitarsi della crisi nei paesi europei.

Dunque una flessibilità ulteriore e aggiuntiva sarà necessaria, ma è anche fortemente auspicabile e in qualche modo dovuta.

Ma l’appuntamento decisivo è quello con il referendum sulla riforma costituzionale.

Ho già ampiamente spiegato, nel mio blog e negli incontri in giro per la provincia che fin da aprile scorso sto facendo sulle ragioni del si, i motivi del mio sostegno e della mia condivisione piena degli obiettivi della riforma. Non li ripeterò qui.

Mi limiterò, per le finalità e gli scopi di questa mia riflessione, a sottolineare che quel fragile ma visibile e ostinato percorso intrapreso di cui prima dicevo sarebbe irrimediabilmente compromesso in caso di esito infausto del referendum.

La vittoria del sì consentirebbe infatti di fare un ulteriore passo in avanti, più o meno lungo ma certamente in avanti, nella direzione intrapresa.

La vittoria del no certificherebbe, agli occhi della opinione pubblica italiana e internazionale, la sostanziale incapacità del nostro paese di autoriformarsi.

Sarebbe di per se un colpo esiziale per la fiducia appena recuperata, e soprattutto il definitivo arresto di questa stagione di riforme.

Qualcuno può auspicarlo, soprattutto chi spera nel tramonto di Renzi, io non me lo auguro, perché più che a Renzi tengo al nostro paese.