Ieri mattina, a Travagliato, per il 25 aprile, ho pronunciato un breve discorso che qui di seguito trascrivo.
68 anni fa, come oggi, una giornata tiepida di primavera, tanto tempo, si chiudeva finalmente una lunga e terribile pagina della storia del nostro paese. Una pagina che era iniziata sulle macerie di un’altra tragedia collettiva, la prima guerra mondiale, terminata con la vittoria sul campo nel 1918, ma che aveva lasciato l’Italia in uno stato di prostrazione e difficoltà economiche crescenti sulle quali era germogliato un nuovo movimento politico, il partito fascista, capeggiato da un leader di origine socialista, che avrebbe preso il potere nel 1922 con l’ausilio della violenza sistematica, l’incapacità di reazione dei partiti democratici, e l’adesione sempre più massiccia e progressiva di tanta parte della società italiana.
Lì, dentro quella sequenza temporale, in quegli anni di transizione drammatici a cavallo tra gli anni 20 del secolo scorso, quasi cent’anni fa, prese avvio ciò che si sarebbe tradotto in una tragedia per l’Italia e per gli italiani, una tragedia che si sarebbe conclusa proprio il 25 aprile del 1945, con il paese distrutto, ridotto alla fame, umiliato e sconvolto da una guerra terribile e devastante.
Certo, ciò che sarebbe capitato nei successivi 23 anni era imprevisto ed imprevedibile, allorchè il fascismo, attraverso la raccolta del consenso democratico, cioè con i voti degli italiani in elezioni regolari, nel 1921-22 cominciò la scalata al potere.
Eppure i germi della malattia che si portava dietro quel nuovo movimento, che agli occhi degli italiani allora poteva apparire suggestivo, perché evocava l’ordine in un momento di grande incertezza, perché suggeriva una via di uscita facile da una crisi complessiva della società italiana, perché era capeggiato da un leader carismatico, dicevo i germi della patologia che avrebbero finito con l’avvelenare la società italiana erano presenti fin dagli esordi, e non erano sfuggiti ai più avveduti tra gli uomini politica dell’epoca.
La violenza sistematica, che le squadracce fasciste fin da subito avevano cominciato ad usare nei confronti di avversari e oppositori, allo scopo di intimidire e ridurre al silenzio le voci contrarie, il significato chiaramente antidemocratico della sua ispirazione originaria, tutta tesa a demolire il senso e la funzione delle istituzioni democratiche, considerate inaffidabili, inefficienti, incapaci di dare risposte rapide, l’ideale del ritorno ad un mitologico passato, con l’evocazione delle radici romane del popolo italiano e l’implicito richiamo ad una superiorità razziale, tutto ciò lasciava trasparire fin da subito i pericoli che il movimento capeggiato da Mussolini stava portando dentro la democrazia italiana.
Allora, agli albori della nascita del fascismo, era il momento di agire, con la lucidità e la determinazione necessari per impedire che il fascino che esso esercitava su tanti ambiti della società italiana potesse attecchire, fare presa, rendendo illeggibile o inintelleggibile i rischi che si portava dietro. Ma gli anticorpi allora presenti dentro la società, nonostante la fiera e sempre più temeraria opposizione di tanti esponenti politici del partito socialista, del neonato partito comunista, del partito popolare ed anche di molti liberali, non erano sufficientemente forti per opporsi al dilagare del consenso che consentì progressivamente al fascismo di mettere le mani sul paese.
E una volta che prese il potere, nel 1922, la deriva che l’Italia era destinata a conoscere fu, a quel punto, largamente inevitabile.
Il delitto Matteotti del 1924, le leggi fascistissime del 1925, con la messa al bando degli altri partiti politici, della libera stampa, delle garanzie fondamentali di libertà individuale e collettiva, e la formale soppressione della democrazia e la nascita della dittatura, furono le premesse per ciò che sarebbe accaduto poi, e per la tragedia collettiva che avrebbe sconvolto il paese riducendolo in macerie e in miseria. Le leggi razziali del 1938 furono la logica e coerente scelta di un regime che aveva un impianto ideologico non dissimile da quello nazista, e portarono alla deportazione di migliaia di ebrei italiani, uomini, donne e bambini, ma anche oppositori politici, verso la morte certa nei terribili campi di concentramento, luoghi nei quali l’umanità venne completamente degradata, luoghi del male assoluto ed indicibile pensando ai quali ancora oggi si viene colti dalla vertigine per l’abisso di dolore dei quali sono stati testimoni.
E poi la guerra, il conflitto armato, quella guerra che Mussolini, trionfante annunciò da Piazza Venezia a Roma alla folla festante, nella convinzione che sarebbero bastato mandare a morire poche migliaia di soldati per partecipare con l’alleato Hitler alla spartizione delle spoglie dell’Europa. Cinque anni di dolori, di lutti, di stragi, di bombardamenti, di miseria, di fame, di buio.
E poi, dopo una lunga lotta di liberazione, dopo che tanti ebbero il coraggio di imbracciare le armi per liberare il paese dalla dittatura che ci aveva portato fino a lì, dopo un riscatto morale che il paese cercò ed ottenne tramite i coraggiosi che scelsero di darsi alla macchia per aiutare a scrollarci di dosso il morbo che aveva finito con il distruggere il paese, dopo tutto questo il 25 aprile del 1945. La liberazione dal fascismo, la fine della guerra, la fine dell’incubo, l’uscita dal tunnel di tragedie angosciose che non avevano risparmiato nessuna famiglia italiana. Il 25 aprile del 1945, la data della rinascita, dell’avvio faticoso e complesso di un percorso duraturo di pace, di una fase di stabilità e pace mai così lunga nella storia del nostro paese e del nostro continente.
Questa data è uno spartiacque al quale non possiamo non guardare con ammirazione e riconoscenza, noi giovani e meno giovani che non abbiamo dovuto vivere e vedere con i nostri occhi le tragedie che vissero e videro i nostri padri e i nostri nonni. E’ una data che non possiamo non ricordare, celebrare ogni anno, ricordando con commozione coloro che diedero la vita per darci la libertà e la pace che oggi godiamo, ricordando i bambini, i giovani, le donne e gli uomini che furono spazzati via dalla tragedia collettiva nella quale ebbero la sorte di transitare. E’ una data alla quale nessuno di noi, rappresentanti delle istituzioni democratiche repubblicane, può permettersi di non tributare un sincero e deferente omaggio.
Ora certo, spetta a noi, spetta alla nostra generazione, dare prova dell’attaccamento ai valori della democrazia, nella consapevolezza che ognuno deve vivere ed agire nel tempo che gli è dato. Come diceva Arturo Carlo Jemolo, ogni generazione deve essere all’altezza delle sfide che ha di fronte, ogni generazione deve aiutare a dare il proprio contributo per costruire un futuro di prosperità e di pace. E allora in un momento nel quale anche il nostro paese vive la condizione difficile di una crisi economica pesante e senza precedenti, nel quale la politica sembra incapace di trovare una risposta in grado di ridare speranza ad una opinione pubblica smarrita e oramai disillusa, il ricordo dei caduti per la libertà, il ricordo di una data che rappresenta lo spartiacque della rinascita di un paese allora prostrato da una condizione complessiva nemmeno lontanamente paragonabile a quella di oggi, sia lo sprone e lo stimolo a noi, alla nostra generazione, per riprendere il cammino virtuoso dello sviluppo e del progresso civile.
Viva il 25 aprile, viva la democrazia, viva l’Italia.
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