Ci avviciniamo alla pausa estiva, certamente l’ultima di questa legislatura.

Il governo Gentiloni sembra viaggiare col pilota automatico, e sta portando a compimento molte delle iniziative che erano state avviate da Renzi.

Abbiamo davanti a noi ancora alcuni mesi prima dell’avvio della campagna elettorale che porterà alle elezioni politiche, mesi nei quali saremo impegnati a mettere a punto la manovra di bilancio, e a costruire il tragitto che ci consenta di presentarci agli elettori nelle migliori condizioni possibili.

Il clima politico attorno al pd oggi peraltro non appare brillante.

Ed anzi, ciò che più colpisce è questa sorta di spread, di divaricazione che si sta allargando tra la quantità e qualità dei risultati di questi anni di governo a trazione pd, e la condizione politica che si percepisce.

Una situazione che per certi versi mi ricorda la fine della legislatura 1996-2001, gli anni in cui l’Ulivo portò il paese nella moneta unica europea, risanò il bilancio pubblico, produsse l’ultima vera accelerazione della crescita economica, eppure riuscì a dilaniarsi fino al punto di perdere le elezioni successive.

Basta mettere in fila i risultati di questi quattro anni di legislatura, fare parlare i numeri.

Nel 2013, quando si insediò la legislatura, l’Italia era in piena recessione: il pil era in calo per il secondo anno consecutivo, una discesa di quasi il 5% in due anni, la disoccupazione aveva raggiunto il suo picco del 13%, raddoppiandosi nel giro di cinque anni, quella giovanile era al 45%.

L’Italia era un paese prostrato, arrabbiato, ma soprattutto disilluso, privo di fiducia nel futuro.

In questi anni difficili, in un contesto politico davvero complicato, il partito democratico è riuscito a consolidare la legislatura, a darle un senso e un orizzonte.

La stabilità politica conquistata in modo politicamente intelligente ci ha permesso di approvare riforme importanti: dal mercato del lavoro alla pubblica amministrazione, dalla giustizia alla scuola, alla messa in sicurezza del sistema bancario e creditizio, per non parlare della riforma istituzionale, portata a termine nelle aule parlamentari anche se poi bocciata al referendum.

Tutte queste riforme, molte delle quali devono ancora spiegare completamente i loro effetti, ci hanno consentito di presentarci con le carte in regola a Bruxelles per ottenere maggiore flessibilità nelle politiche di bilancio, che è stata utilizzata per introdurre misure espansive e volte a incoraggiare la crescita.

Non solo il bonus degli 80 euro, ma altresì la decontribuzione sulle nuove assunzioni, le misure per incentivare investimenti, la riduzione del carico fiscale su aziende e privati.

Misure che sono risultate efficaci, ancorché non risolutive, per invertire la tendenza al declino: gli 80 euro hanno consentito, come riconosciuto oggi da agenzie indipendenti, di riavviare la dinamica dei consumi privati, la decontribuzione ha dato una spinta decisiva alla ripresa dell’occupazione, iperammortamento e superammortamento hanno determinato l’aumento rilevante degli investimenti privati.

Tutto ciò è stato certamente accompagnato da un contesto economico europeo migliore, determinato anche dalle politiche espansive della banca centrale europea, ma resta il fatto che i risultati si vedono, sono misurabili.

La crescita economica del paese si è riavviata, raggiungendo livelli che hanno sorpreso anche analisti e osservatori: dopo un avvio lento, le ultime stime dicono che quest’anno il paese crescerà dell’1,4%, la disoccupazione è calata all’11,1%, quella giovanile è sotto il 40%.

Come ha riconosciuto l’Ocse nell’ultimo report sull’Italia, “l’economia è in via di ripresa”.

Il nuovo clima economico ha consentito anche, finalmente, di aggredire gli effetti più perversi della crisi economica, approvando la prima misura universale di contrasto alla povertà del nostro paese, che andrà a regime dal prossimo anno con una dotazione di circa 2 miliardi di euro.

Insomma, se si guarda con onestà e serietà a questi risultati, occorre riconoscere che non solo questi quattro anni non sono stati sprecati, ma che anzi grazie alle politiche ostinatamente perseguite dai governi a trazione pd che si sono succeduti, e in larga parte ai 1000 giorni del governo Renzi, l’Italia ha colto l’occasione per uscire dalla crisi, e per intraprendere un cammino virtuoso.

Nonostante ciò, la crescente frammentazione politica, la schizofrenica legge elettorale figlia della bocciatura della riforma, l’assenza di un orizzonte politico chiaro, sembrano congiurare contro la possibilità di proseguire anche nella prossima legislatura questo cammino, un po’ come accadde nel 2001.

Ed è in questo allora che io avverto lo scarto crescente che dicevo all’inizio, tra i fatti, ciò che si è realizzato in questa legislatura, i risultati allineati, e la debolezza del quadro politico, la difficile prospettiva che si sta delineando.

In tutto ciò, forse abbiamo un’alleato, il tempo, i mesi che ci attendono prima delle prossime elezioni.

Mesi che dobbiamo dedicare non solo alla messa a punto di temi e obiettivi da proporre agli italiani per conquistare i loro consensi, ma altresì alla costruzione di nuove condizioni politiche che ci consentano di realizzare i nostri buoni propositi.

Occorre dunque agire meglio la politica, fare politica, individuare i sentieri migliori per costruire la possibilità di non interrompere, ma anzi proseguire, anche nella prossima legislatura, il cammino virtuoso intrapreso.

Quel cammino che è stato reso possibile da coloro che insieme al pd hanno condiviso il tragitto, e che anche in futuro, tanto più nella stagione proporzionale che pare oramai aprirsi, non saremo in grado di percorrere da soli.

Dunque non basta, oggi, dedicarsi al progetto per il futuro, ma occorre tornare a diventare aggregativi, a costruire ponti, ragioni di vicinanza e solidarietà con tutti i mondi, le forze, nella società e nella politica che ci possano aiutare a conseguire l’obiettivo.

È un compito arduo, se si guarda alla frammentazione, ai personalismi, ai risentimenti che sembrano dominare la scena politica, ma io credo sia l’unica via da percorrere.