Dunque l’iniziativa assunta dal pd sulla legge elettorale ha prodotto un’accelerazione improvvisa e sembra ora davvero possibile, in tempi brevi, l’approvazione di una nuova legge che mandi in soffitta l’attuale imperfetto sistema.
È certamente una buona notizia, tanto più considerato i tempi davvero stretti a disposizione.
Non deve infatti sfuggire a nessuno che la nuova legge elettorale deve essere approvata possibilmente entro l’estate, poiché una dilatazione dei tempi rischierebbe di sovrapporre la discussione a quella sulle legge di bilancio, con tutte le ovvie fibrillazioni e difficoltà che ciò comporterebbe.
Meglio dunque mettere subito un punto fermo, anche per scongiurare uno stallo che aumenterebbe il rischio di un nulla di fatto.
Questo aumenta la possibilità di elezioni anticipate? Certamente rimuove un ostacolo rilevante, ma non mi pare un buon motivo per allungare i tempi.
In altre parole ritengo opportuno arrivare rapidamente ad una nuova legge, anche se ciò ovviamente mette in discussione la durata della legislatura.
Non mi pare dunque che questo tema sia rilevante per valutare la scelta che abbiamo di fronte. Io, detto per inciso, come ho sempre detto mi auguro che la legislatura continui, poiché ciò ci consentirebbe di portare a termine tante riforme importanti.
Ma non mi sfuggono le complessive condizioni che potrebbero portare ad una fine anticipata, anche al di là delle nostre buone intenzioni.
Si vedrà.
La domanda da porsi oggi è un’altra: quella oggi in vista, è una buona legge elettorale?
Di certo non è quella che volevamo.
Noi avevamo proposto il mattarellum, e poi il rosatellum, due sistemi ad impianto fortemente maggioritario, che favorivano le coalizioni, l’omogeneità dei programmi, l’indicazione del premier, e consentivano di puntare ragionevolmente ad una maggioranza dei seggi.
Su queste proposte, peraltro, si è registrata l’adesione della sola Lega, e la freddezza od ostilità manifesta di tutti gli altri. Anche, sia detto con chiarezza, dei fuoriusciti di mdp, possibili alleati del pd, che sul rosatellum ci hanno messo le dita negli occhi.
L’idea era quella di provarci comunque, di forzare approvando il rosatellum alla camera e poi giocarsi il tutto per tutto al senato, pur senza i numeri.
Ma a fronte di ciò, in pochi giorni si è spalancata un’altra porta, in grado di mettere d’accordo l’80% dei partiti presenti in parlamento, ovvero un sistema proporzionale modellato sull’impianto tedesco, con collegi uninominali e sbarramento al 5%.
Una rivoluzione, rispetto a venticinque anni di faticoso tentativo di trapiantare in Italia una democrazia maggioritaria, quelli della cosiddetta seconda repubblica.
Ne vale la pena? È giusto incamminarsi in questa direzione?
È difficile dare una risposta univoca, tanto più senza considerare il contesto politico nel quale ci troviamo: quello del post 4 dicembre, del fallimento di una riforma costituzionale che costituiva il coronamento e il completamento di quei 25 anni di seconda repubblica.
Oggi ci troviamo, come tanti di noi avevano pronosticato in caso di sconfitta referendaria, in una condizione complicata, in una palude politica, di cui il sistema elettorale vigente (figlio di una sentenza della corte cui non è certamente estraneo l’esito del referendum) rappresenta l’emblema: un modello proporzionale puro, con soglie d’accesso diverse tra camera e senato, un mix irrazionale di liste bloccate e preferenze. Un pasticcio che garantisce frammentazione e ingovernabilità, del quale liberarsi, come richiede giustamente Mattarella.
E allora piuttosto che rischiare il nulla di fatto incaponendosi su un modello maggioritario sulla carta senza voti per essere approvato, forse meglio cogliere al volo l’occasione offerta da un accordo largo e condiviso, che consenta di raggiungere il risultato ancorché al prezzo di un cambio di direzione deciso.
Certo, quello simil tedesco è un sistema proporzionale.
Tuttavia con alcune caratteristiche interessanti, che andranno meglio valutate mano a mano che i dettagli della proposta prenderanno forma.
Intanto lo sbarramento al 5%, che di per se garantisce un non disprezzabile effetto maggioritario, poiché ovviamente consente di attribuire più seggi ai pochi partiti che entrano in parlamento.
In secondo luogo il collegio uninominale, che consente un rapporto diretto tra eletto ed elettore, e che dovrebbe incentivare la scelta di candidati forti, conosciuti, autorevoli, da parte dei partiti.
Restano alcuni forti limiti, il primo dei quali rappresentato dal fatto che per governare, stante il fatto che ben difficilmente un partito da solo può aspirare ad avere il 50% dei seggi, occorre fare coalizioni in parlamento, dopo le elezioni, e non prima.
A questo proposito una delle critiche politiche più frequenti, e che immagino ci accompagnerà se la legge arriverà in porto, è che questa legge di fatto favorirà un accordo post elezioni tra pd e forza Italia.
Non nego la suggestione di questa critica, di cui però denuncio una evidente debolezza: non si può giudicare infatti la bontà di un modello elettorale sulla base della fotografia statica della condizione politica esistente. Perché in realtà l’offerta politica varia anche in funzione di quello, e il dinamismo elettorale può produrre anche differenze notevoli rispetto ai dati di partenza. Chi può escludere che una ben strutturata formazione di sinistra, o magari centrista, o ecologista, possa superare lo sbarramento?
D’altronde è esattamente ciò che accade in Germania, ove nessuno mette in discussione il modello elettorale per il fatto che, nelle due ultime legislature, ha reso necessario un accordo tra cdu e spd. In passato infatti, grazie alla presenza di alleati alla loro destra o alla loro sinistra, cdu e spd si sono alternate al governo, garantendo il buon funzionamento della democrazia. Non si vede perché questo non possa accadere anche in Italia.
Il secondo limite del sistema è che non consente l’indicazione del premier, di scegliere chi dovrà guidare il governo.
E certo non è garanzia sufficiente, al riguardo, lo statuto del pd che dispone che il segretario sia anche il candidato premier.
Sotto questo profilo, io credo però possano essere fatti dei passi avanti.
Se cioè questo sarà il modello elettorale adottato, io credo che sin d’ora il pd debba indicare gli ulteriori correttivi di sistema, presenti nell’ordinamento tedesco, e che dovranno essere inseriti anche in quello italiano per consentirne il buon funzionamento.
Tra gli altri, in primo luogo la sfiducia costruttiva, poi la possibilità per il premier di indicare e revocare i ministri, e infine un aggiornamento dei regolamenti parlamentari.
In questo modo, questo improvviso e necessitato cambio di direzione intrapreso potrebbe produrre frutti migliori di quelli immaginati, anche da chi avrebbe preferito proseguire nella costruzione di un sistema maggioritario.