Uno dei lasciti più pesanti di questi ultimi 7 anni di crisi economica è il drammatico aumento della diffusione della povertà nel nostro paese. I dati statistici più autorevoli e seri ci offrono numeri che non necessitano di commenti: oggi circa 16 milioni di italiani, vale a dire uno su quattro, vive sotto la soglia della povertà relativa. E circa 6 milioni di questi si trova sotto la soglia della povertà assoluta, vale a dire che è privo delle risorse e dei mezzi per acquistare i beni e i servizi che assicurano il minimo vitale.

I poveri assoluti sono più che raddoppiati in questi anni di crisi, hanno visto entrare categorie e settori della società italiana che non erano mai stati interessati da questo fenomeno, e comprendono oltre 1,5 milioni di minori. Questi dati ci dicono di una condizione drammatica che esiste nel nostro paese, sebbene poco visibile ed emergente, perché noi sappiamo bene che la povertà e’ umile, si vergogna, tende a dissimularsi. Di questo abbiamo parlato nel convegno organizzato a Brescia con il gruppo parlamentare, alla presenza di tanta parte del mondo del terzo settore che di questi temi si occupa.

Si tratta di un argomento non facile, direi anzi scomodo, perché i poveri fanno parte dei dimenticati, degli invisibili, non si recano alle urne, e nella società dei due terzi, quella cioè dove i due terzi stanno bene, la maggioranza non si occupa di loro, e tendenzialmente è ostile a destinare loro risorse.
Eppure io credo che sia doveroso cominciare ad affrontare seriamente la questione, proprio oggi che si vedono i primi spiragli di uscita dalla crisi, perché solo nei cicli economici espansivi si può parlare di redistribuzione delle risorse.

E perché oggi noi dobbiamo decidere se vogliamo uscire dalla crisi mantenendo o addirittura alimentando le disuguaglianze che ha prodotto, o se invece vogliamo farlo all’insegna della giustizia ed equità sociale, e dunque provando a immaginare politiche che ci aiutino a ridurre progressivamente le condizioni di marginalità, ad iniziare da quelle più estreme, come quelle di chi vive oggi in condizioni di povertà assoluta. Non si tratta solo di corrispondere ad una ispirazione etica e morale che muove tanti di noi che facciamo politica, ma altresi di non erodere ulteriormente le basi della convivenza e coesione sociale, che rischiano di essere messe a dura prova dalle crescenti ingiustizie. Cominciare a discuterne seriamente, con il contributo di esperti e sulla base di proposte concrete e puntuali, che sono emerse nel corso del nostro convegno, credo sia un passo non banale nella giusta direzione.