Non abbiamo iniziato nel migliore dei modi la legislatura, in commissione giustizia.

O meglio, l’abbiamo cominciata come c’era da aspettarsi, viste le premesse.

Uno dei primi atti della commissione è stato il rilascio del parere sulla riforma dell’ordinamento penitenziario, il cui iter non si era concluso nella precedente legislatura.

Si trattava di una riforma molto ambiziosa, figlia di un lungo e complesso iter iniziato con la convocazione da parte del ministro Orlando degli Stati Generali, gruppi di studio formati da 200 tra i migliori esperti del settore chiamati a confrontarsi per stendere le linee di una riforma necessaria, dopo oltre 40 anni dall’approvazione dell’attuale disciplina.

La riforma era figlia di quel lavoro, e aveva l’ambizione di innovare profondamente il sistema dell’esecuzione penale italiano, allineandolo alle migliori esperienze europee,   con l’obiettivo di rendere più efficace la pena, ridurre la recidiva, aumentare il ventaglio di sanzioni applicabili oltre alla detenzione.

La nuova maggioranza ha dato un parere negativo alla riforma, sull’onda dell’approccio rigidamente giustizialista, carcerocentrico e securitario che sembra essere la cifra della politica sulla giustizia del nuovo governo.

Un approccio, deve essere sottolineato, destinato a produrre non più ma meno sicurezza.

Che questo sia il nuovo clima, d’altronde, è stato confermato in commissione dal ministro Bonafede, al quale in audizione ho tra le altre cose segnalato la nostra preoccupazione per l’intenzione manifesta di smontare alcune delle novità introdotte nella scorsa legislatura, e finalizzate a deflazionare il carico giudiziario degli uffici, dalla depenalizzazione, all’estinzione dei reati di particolare tenuità, alla messa alla prova.

Tutte misure utili a rendere più snella ed efficiente la macchina ingolfata della giustizia, e che all’insegna del populismo penale che sembra tornare prepotentemente sulla scena rischiano di essere travolte.

Non è un caso infatti che una delle priorità di riforma continuamente sventolate dal governo giallo verde sia la legittima difesa. Una norma bandiera, niente più. 

Che urgenza al riguardo ci può essere in un paese che vede costantemente scendere da anni i principali reati, che proprio l’anno scorso ha visto il più basso numero di omicidi dal dopoguerra ad oggi, che vede celebrare non più di una decina di processi all’anno per eccesso colposo di difesa legittima?

Siamo purtroppo tornati all’uso politico della giustizia, cioè all’uso della giustizia a puro scopo di raccolta di consenso, in totale spregio e indifferenza a qualunque approccio serio e approfondito alla materia.

Si prospetta una stagione difficile: di certo non faremo mancare la nostra voce.