Non riesco a credere che siamo a questo punto.
Sull’orlo di una scissione, di una spaccatura, di una fuoriuscita dal partito democratico di persone, leadership, storie e biografie personali e politiche che, di fatto, comporterebbe la fine del progetto costruito faticosamente con un percorso iniziato più di vent’anni fa, ai tempi dell’Ulivo, e portato a compimento nel 2007.
Questa deriva che pare oramai inarrestabile è l’effetto perverso di una combinazione letale fatta di motivazioni politiche, di irrimediabile sfiducia personale, di convenienze e ripercussioni del nuovo assetto verso cui ci siamo incamminati.
Una lacerazione che si sta consumando per errori, calcoli a volte meschini, per un clima avvelenato che da troppo tempo sta corrodendo la fiducia reciproca.
Non è questo il tempo di attribuire colpe e responsabilità.
Io ho le mie opinioni, al riguardo, e so bene che non si può mai separare con nettezza i buoni dai cattivi, che torti e ragioni si collocano spesso a metà strada.
Ma oggi dobbiamo chiederci dove ci condurrebbe, questa deriva. Quali conseguenze produrrebbe. Che scenario politico si profilerebbe.
Io credo che sarebbe una resa alle ragioni della frammentazione, del particolarismo, della chiusura che segna il nostro tempo, a tutti i livelli.
Sarebbe l’abdicazione a quello sforzo di inclusione, di sintesi, di condivisione su cui nacque l’Ulivo e poi il partito democratico, nella convinzione, oggi più che mai attuale, che solo mettendo insieme tradizioni e culture politiche diverse ma affini sia possibile profilare una prospettiva politica solida e lungimirante per il paese.
Cero il tutto è favorito dal clima proporzionale imperante, combinato con una legge che prevede capilista bloccati, un potente incentivo alla frammentazione, alla costruzione di piccoli partiti in grado di condizionare ogni accordo di governo, di garantirsi una pattuglia di fedelissimi parlamentari decisivi.
Un ritorno alla prima repubblica con una non trascurabile differenza: che oggi non ci sono più i partiti della prima repubblica, e in particolare dc e pci, i due perni di un sistema che ha comunque garantito rappresentatività e governabilità al paese.
Oggi ci avventureremmo su percorsi inediti e, a me pare, rischiosi, di una frammentazione tra soggetti politici di natura personalistica, senza vero retroterra culturale, fluttuanti e volubili come i loro leader, alle prese con la difficile arte di costruire coalizioni complicate per governare.
Il tutto nel contesto difficile che ci è dato vivere, alle prese con gli effetti perversi della crisi economica e sociale che ci ha consegnato un occidente impaurito, impoverito e insofferente.
Se questo è il rischio che stiamo correndo, non è il caso di fare ogni estremo tentativo per evitarlo?
C’è ancora spazio, ci sono ancora ragioni e argomenti per impedire questa deriva?
Possiamo gestire questa fase di transizione per uscirne con uno scenario più convincente, senza scissione, con un rafforzamento delle nostre ragioni?
Francamente è molto difficile. Temo che i buoi siano oramai usciti. E le prossime ore, non giorni, saranno decisive.
Ma sarebbe folle abdicare ad uno sforzo ulteriore e ultimo, da parte di tutti coloro che hanno ancora un briciolo di responsabilità.
Ci sarebbe forse un pertugio, se solo lo si volesse varcare davvero.
Convocare il congresso, certo, cosa necessaria e utile, per arrivare con un partito rinnovato già all’appuntamento elettorale delle amministrative di giugno, ma rimuovendo subito alcuni ostacoli sulla strada della fiducia reciproca interna.
Assicurando cioè sostegno leale e convinto al governo Gentiloni fino a scadenza naturale, e assumendo l’impegno a modificare la legge elettorale secondo meccanismi che incentivino la stare insieme, e tolgano di mezzo il letale mix tra proporzionale e capilista bloccati che porterebbe in parlamento solo i nominati.
In cambio di ciò, io sono convinto che anche la minoranza sulla via della scissione potrebbe essere indotta a stare dentro, a percorrere la via congressuale nei tempi previsti per profilare un’alternativa al segretario uscente, magari federandosi attorno alla figura seria e credibile di Andrea Orlando, che garantirebbe una competizione di qualità rafforzando il partito democratico.
Non vedo altre strade, oggi.
E mi auguro un sussulto di responsabilità e intelligenza politica da parte di tutti coloro che oggi hanno un ruolo nella vicenda.