La conclusione della vicenda greca mi suggerisce un paio di riflessioni. La prima, più scontata, è che non si governa a colpi di populismo, che solleticare la pancia e gli umori dell’opinione pubblica può essere utile, ma è pericoloso. E che arriva sempre, prima o poi, il tempo della responsabilità, con tutti gli oneri e la fatica che questo può comportare, soprattutto quando prima si sono alimentate le illusioni e le utopie.
Io non so bene a cosa sia servita quella ubriacatura collettiva culminata con il referendum, che tanti ha affascinato anche da noi, e in Europa, in un abbraccio singolare tra radicalismi di destra e di sinistra. Temo che altro non abbia prodotto che uno spreco di tempo prezioso, un deterioramento ulteriore della situazione economica della Grecia, senza modificare di molto i parametri dell’accordo che alla fine, e per fortuna, è stato trovato. Insomma, la dico così, demagogia e populismo sono i veri nemici da cui guardarsi oggi, anche da noi, perché conducono inevitabilmente verso il precipizio, e ciò deve indurre a un supplemento nello sforzo di restituire dignità alla buona politica, che si nutre di senso delle istituzioni, serietà, risultati.
La seconda lezione è forse meno evidente, e riguarda il nostro atteggiamento nei confronti dell’Europa. Perché deve essere chiaro a tutti che quando si parla di unione politica, quando si parla del sogno, in parte realizzato, della costruzione europea, del grande spazio di prosperità e di pace che il nostro continente ha garantito negli ultimi settant’anni, si parla in realtà di regole comuni, di cessione progressiva e sempre maggiore di quote di sovranità alle istituzioni sovranazionali. E non si può pensare, quando quelle regole non piacciono più, o danno fastidio, di violarle, di strapparle a piacimento. Perché ciò significa rompere la tela faticosamente costruita fino a qui, significa mettere in discussione la casa comune, significa mettersi in aperta contraddizione con una sincera vocazione europeista. Poi certo, le regole si possono cambiare, anzi si devono cambiare, devono essere aggiornate e migliorate. Ma tutti insieme, dentro il quadro istituzionale che ci siamo dati, con le procedure previste, cercando di convincere gli altri partner dell’Unione, e possibilmente dentro una visione e una prospettiva alta e ispirata, e non guidata da interessi meramente nazionali.
Io, lo dico subito e con chiarezza, voglio ridare slancio alla costruzione europea, voglio proseguire in una sempre maggiore integrazione.
Ma sono consapevole che se voglio più unità politica ed economica devo accettare l’idea di un maggior controllo sulle nostre politiche di bilancio, sulle nostre scelte fiscali, devo accettare l’idea di ridurre ulteriormente la nostra sovranità, dentro un quadro di regole comuni che insieme dobbiamo darci, e poi rispettare. Insomma, l’unità politica europea, la vocazione europeista ha un costo, in termini di autonomia: quanti di coloro che erano virtualmente in piazza con Syriza sono davvero disponibili a sopportarlo?