Sono un convinto sostenitore di questo governo. Lo sono, non perché sia particolarmente lieto delle larghe intese, né perché mi faccia piacere dover mediare le nostre scelte con il centrodestra, ma perché sono persuaso che l’esito elettorale e le condizioni del paese oggi non ci consentano alternative migliori.

So che molti dentro il PD ragionano allo stesso modo, con un punto però di robusta discussione, che riguarda i limiti oltre i quali lo stato di necessità nel quale ci troviamo non può valere più. Alcuni ritengono che, proprio per l’eccezionalità della situazione, per la difficoltà di comporre visioni così diverse, occorra essere particolarmente esigenti, per non correre il rischio di perdere la propria identità.

Altri, ed io tra questi, sono convinti che prima e più delle proprie istanze, dei propri legittimi valori, vi siano le esigenze del paese, oggi in condizione drammatiche, e che pertanto occorra una dose di cautela e prudenza aggiuntiva nel valutare ostacoli e difficoltà, perché l’opinione pubblica attende con ansia soluzioni. E, giustamente, non ci perdonerebbe un ennesimo fallimento. Ma non c’e dubbio che alcuni limiti non possono essere valicati.

Se, per esempio, ci venisse chiesto di approvare, pena la crisi, norme ad personam o radicalmente in contrasto con i nostri principi (che so, un nuovo condono fiscale), credo che nessuno di noi, e di certo non io, potrebbe trincerarsi dietro lo stato di necessità per giustificare la continuità di questo governo. D’altro canto, e sotto altro profilo, un governo che si limitasse a traccheggiare, senza affrontare i nodi e le questioni sul tappeto, sarebbe naturalmente destinato ad essere travolto dagli effetti di una crisi che non fa sconti a nessuno, e che non aspetta i tempi lunghi della politica ordinaria.

Occorre dunque essere leali alle ragioni e nel sostegno al governo, ma si deve riconoscere che questa condizione di emergenza non può diventare lo scudo e la giustificazione per qualunque scelta o inerzia, e a maggior ragione ciò deve valere per le dinamiche interne del Partito Democratico. Trovo in altre parole del tutto irragionevole che la scelta delle regole congressuali del PD, e dunque degli assetti che ne deriveranno, possa essere influenzata e in qualche misura determinata dal difficile e complicato sentiero che sta percorrendo il governo, quasi che fosse opportuno che nessuno osasse disturbare il manovratore.

So bene, e non mi sfugge, che un segretario particolarmente forte del PD potrebbe essere vissuto come un pericolo per la tenuta di una maggioranza così complicata, così come accadde in certa misura durante l’ultima esperienza di Prodi, dopo l’incoronazione di Veltroni. E tuttavia sono persuaso che l’attuale condizione di afasia e difficoltà dei partiti, ed anche del Partito Democratico, comporti la ricerca di coraggio e soluzioni forti, anche in termini di leadership: non è questo il tempo della timidezza, non può esserlo per il PD e per il congresso che ci apprestiamo a vivere. Aggiungo che i paventati rischi di fibrillazione tra partito e governo non debbono essere sopravvalutati.

Nessun leader avveduto e responsabile del PD, e di certo non quello che ho in testa io, che oggi fa il sindaco e si misura quotidianamente con la complessità dei problemi, avrebbe davvero interesse a minare la strada di un governo operativo e fattivo, per il semplice ma decisivo rilievo che anch’egli si gioverebbe di un paese avviato al risanamento e alla ripresa.

Se poi, malauguratamente, il governo non si dovesse dimostrare all’altezza della difficile sfida che ha di fronte, credo che nessuno di noi vorrebbe farsi cogliere impreparato, e non c’è dubbio che un partito con un leader forte e carismatico sarebbe la migliore premessa per trovarsi pronti ad una nuova competizione, e probabilmente in posizione di vantaggio.

Tratto da “Europa” 30 Luglio 2013