Con la sua sentenza di pochi giorni fa, che ha dichiarato incostituzionale la scelta del governo Monti di bloccare l’indicizzazione delle pensioni sopra i 1.500 euro netti, la corte costituzionale ha assestato una mazzata ai conti pubblici del paese.
Non sono ancora precise le stime, ma l’impatto complessivo della sentenza oscilla tra i 10 e i 15 miliardi di euro.
Il che significa che ogni risorsa disponibile spremuta dai conti per i prossimi anni dovrà prioritariamente andare ai pensionati, con buona pace dei poveri, delle imprese, dell’economia, della riduzione della pressione fiscale.
Non so in quali altri occasioni, forse nessuna, una sentenza della corte ha inciso così profondamente sulle scelte politiche, sull’indirizzo politico del paese.
E confesso che ho molte e rilevanti perplessità su questa decisione, che contraddice numerosi precedenti, in cui la corte pur dichiarando illegittimi provvedimenti fiscali aveva escluso la retroattività proprio per evitare un eccessivo impatto sui conti pubblici.
Spero che non dovremo annoverare anche i giudici costituzionali tra i mondi, gli interessi, gli ambienti che oggi si sentono in dovere di ergersi a contropoteri rispetto a una leadership e a un cambiamento che avvertono, a mio avviso sbagliando, troppo repentini e pericolosi.