Ieri abbiamo approvato in aula il pacchetto di riforme sul processo penale, che ora andrà al senato.
Un corposo provvedimento, che contiene norme significative per lo snellimento delle procedure, con innovazioni per migliorare i riti alternativi, una più compiuta disciplina delle impugnazioni, nuovi strumenti idonei a rendere più certi i tempi delle indagini, e rilevanti passi in avanti nella direzione della giustizia riparativa, quella che incentiva e privilegia la riparazione del danno sofferto dalla persona offesa, rispetto alla semplice punizione del reo.
Oltre a ciò, il provvedimento contiene alcune deleghe al governo, per riformare ulteriormente alcuni aspetti della procedura penale, per innovare profondamente l’ordinamento penitenziario, e per modificare la disciplina delle intercettazioni.
Proprio su quest’ultimo aspetto si sono concentrate le critiche delle opposizioni, e l’attenzione dei giornali, che come spesso capita mettono nel mirino alcuni dettagli perdendo la visione complessiva delle scelte legislative.
Non voglio però sfuggire le questioni sollevate, che riguardano il delicato rapporto tra esigenze di indagine, libertà di informazione, e diritto alla riservatezza.
Intanto occorre sgomberare il campo da un equivoco alimentato da chi ha interesse a sollevare polvere: la delega sul punto non attribuisce al governo alcuna facoltà di limitare o modificare i presupposti per il ricorso alle intercettazioni da parte degli organi inquirenti.
Siamo infatti ben consapevoli che le intercettazioni costituiscono uno strumento fondamentale per le indagini della magistratura, ancorché a volte si ha l’impressione che vengono utilizzate in modo perfino eccessivo, come dimostrano i costi sostenuti ogni anno dall’amministrazione della giustizia per quel solo capitolo di spesa, pari a oltre 200 milioni di Euro.
Ma l’obiettivo della delega non riguarda dunque tale aspetto, bensì un nuovo e diverso equilibrio tra due principi su cui si regge una democrazia, quello della riservatezza delle conversazioni private, e quello della libertà di informazione, che sul terreno delle intercettazioni ai fini di giustizia in questi anni non si è rinvenuto.
Troppo spesso infatti sugli organi di informazione sono finiti stralci di conversazioni, tratti dai brogliacci delle indagini preliminari, riguardanti persone totalmente estranee alle indagini, di natura e contenuto privato e a volte anche intimo, con un sacrificio eccessivo di quel diritto alla privacy che la nostra costituzione riconosce all’art. 15, e che costituisce presidio di una libertà fondamentale in una democrazia di stampo liberale,
Certo è un tema delicato, occorre garantire anche la libera informazione per tutelare la trasparenza e limpidezza delle istituzioni, e tuttavia è nostra convinzione che un nuovo e migliore equilibrio sia necessario.
Che il governo intenda procedere con saggezza e cautela è ad ogni modo confermato dall’impegno assunto pubblicamente dal ministro Orlando di voler insediare e attenersi ai risultati di una commissione che suggerirà una soluzione, formata da autorevoli rappresentanti delle procure, delle camere penali e degli organi di informazione.
Nessun bavaglio, dunque, ma una opportuna rivisitazione di una disciplina che oggi non garantisce in modo adeguato il rispetto di un principio fondamentale, quello alla privacy e alla riservatezza, che distingue le democrazie dai regimi totalitari (una distinzione che, a sentire certi toni di questi giorni, non tutti gli esponenti del m5s sembrano aver ben compreso).
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