Il dibattito un po’ scomposto e confuso che si è sviluppato attorno alla ipotesi di introdurre, anche per i membri del nuovo senato che uscirà dalla riforma, una forma di immunità parlamentare, è figlio della particolare sensibilità dell’opinione pubblica sulla questione che riguarda il rapporto tra politica e giustizia.
La diffusa sensazione che dentro il mondo della politica si annidino illegalità e ruberie, la consapevolezza che l’unico vero baluardo contro le malefatte di chi approfitta del proprio ruolo per arricchirsi sia nell’esercizio dell’azione penale, rende intollerabile l’idea che chi ricopre incarichi parlamentari possa godere di uno scudo da usare contro coloro che valutano e sanzionano i comportamenti illeciti.
La politica ovviamente non può non tenere conto di questo clima, e tuttavia non può esimersi dal trattare l’argomento con la lucidità e la serenità dovuta alla delicatezza della funzione esercitata dall’organo legislativo.
Sappiamo bene che l’immunità parlamentare è un istituto presente in quasi tutte le democrazie occidentali, ed è nato per garantire l’autonomia della funzione legislativa dalle possibili interferenze o aggressioni di un altro potere autonomo quale quello giudiziario.
E sappiamo anche che immunità non significa impunità, laddove le camere possono sindacare unicamente le richieste di misure cautelari o di intercettazioni provenienti dai magistrati, e tendenzialmente autorizzano i provvedimenti richiesti.
E’ tuttavia lecito chiedersi se oggi sia ancora necessario questa forma di protezione a tutela della funzione legislativa, oppure se non sia retaggio di un’epoca storica che oggi appare anacronistico, e dunque non rappresenti un privilegio ingiustificato.
La domanda non è certamente ne peregrina ne oziosa.
E tuttavia a me pare che, pur in un contesto fortemente diverso rispetto al passato, ed in particolare rispetto ad un’epoca nella quale si avvertiva acutamente l’esigenza di garantire la massima libertà e autonomia del potere politico rispetto ad altri poteri costituiti, non siano cessate ragioni che consigliano di mantenere una forma di garanzia a tutela della libera espressione della volontà popolare,
A me non pare infatti che si possa fondatamente escludere il rischio di una iniziativa anche solo improvvida o avventata di un ufficio giudiziario, che colpendo indebitamente un membro del parlamento ne altera la composizione e ne condiziona il funzionamento, finendo così per inquinare le scelte espresse dal corpo elettorale.
Soprattutto avuto riguardo alle modalità di funzionamento della giustizia oggi in Italia, e se si tiene conto del perverso meccanismo mediatico giudiziario, che finisce con alimentare la spettacolarizzazione delle inchieste e solleticare la vanità di taluni magistrati.
Il che, a mio avviso, giustifica ancora oggi una forma di autotutela del potere legislativo attraverso un meccanismo che garantisca una valutazione sulla fondatezza della richiesta dell’autorità giudiziaria, ciò che oltre tutto comporta la necessità che i giudici motivino e provino con particolare accuratezza le esigenze cautelari o istruttorie che sottendono al provvedimento richiesto, a maggiore garanzia del rispetto degli esiti elettorali.
Una forma di immunità, beninteso, che come già accade ora il più delle volte porterà a concedere l’autorizzazione richiesta, ma che dunque non deve essere valutata come un ingiusto privilegio, ma come una garanzia a tutela delle scelte fatte dai cittadini all’atto del voto politico.
Certo è che la questione dell’immunità potrebbe essere affrontata in modo diverso, e condurre forse a conclusioni opposte, laddove si potesse invece ridurre a termini minimali quel rischio di indebite interferenze della magistratura nella vita pubblica che io invece non mi sento di escludere.
Ma ciò comporterebbe la necessità di ragionare di una riforma vera e profonda della giustizia, e di affrontare dunque nodi e questioni che attengono al complessivo equilibrio del nostro sistema giudiziario, dall’obbligatorietà dell’azione penale alla terzieta’ del giudice rispetto ai pm, dalla responsabilità civile dei magistrati alla composizione del CSM.
Nodi delicatissimi, perché hanno a che fare non solo con la sacrosanta esigenza di tutela della legalità e dell’autonomia della magistratura, ma anche con quella altrettanto importante delle garanzie delle libertà personali, individuali e politiche rispetto al potere costituito e rappresentato nell’ordinamento giudiziario, esigenze che devono trovare la loro composizione in un equilibrio non sempre rinvenibile nel sistema attuale.
Affrontare finalmente quei nodi, e scioglierli in modo serio e ragionevole, non solo significherebbe dotare il paese di un sistema più equilibrato e funzionale, ma comporterebbe altresì il non trascurabile effetto di riportare nei binari fisiologici il rapporto tra politica e giustizia, facendo uscire il paese da un cortocircuito che non ha aiutato né l’una né l’altra, e che si riflette oggi anche nel dibattito sull’immunità.
Immunità: un altro capitolo del rapporto politica giustizia
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