Sono uscite in questi giorni le classifiche pubblicate da un sito sul rendimento dei parlamentari.Classifiche redatte assegnando un punteggio a ciascuna attività svolta, dalla presentazione di emendamenti agli interventi in aula, dalla presenza alle sedute alla redazione di ordini del giorno, interpellanze, mozioni, e così via.
Un’operazione che da un indicatore finale mettendo in graduatoria i singoli deputati secondo un ordine numerico, e che offre dunque all’opinione pubblica un parametro chiaro su cui misurare il rendimento dei propri rappresentanti.
Un lavoro certamente complesso e basato su dati analitici, dunque certamente meritevole di attenzione, e visto che nella lista finale io non sono messo male, essendo intorno alla 250 posizione su 630 deputati, potrei anche essere soddisfatto, e finirla qui.
Credo però non si possa evitare di segnalare che una classifica di questo genere, pretendendo di misurare la politica come fosse un fenomeno fisico, quantificabile, e non invece come una attività complessa, fatta di relazioni, di studio, di approfondimenti, di capacità di analisi e di pensiero, rischia di essere estremamente fuorviante.
Vorrei a questo proposito citare un piccolo apologo di Mino Martinazzoli, che mi pare davvero adatto al caso.
La storia raccontata da Martinazzoli è la seguente.
Il direttore generale di una società riceve due biglietti per un concerto che ha in programma la sinfonia numero 8 di Schubert. Non potendoci andare passa i biglietti al giovane e dinamico capo del personale, laurea alla Bocconi e master alla London School. Il giorno dopo chiede al collaboratore se il concerto sia stato di suo gradimento e riceve da questi un report diviso in cinque punti.
Punto 1. Durante considerevoli periodi di tempo i 4 oboe non fanno nulla, si dovrebbe ridurne il numero e distribuire il loro lavoro tra il resto dell’orchestra eliminando i picchi di impiego.
Punto 2. I 12 violini suonano la medesima nota perciò l’organico dei violini dovrebbe essere ridotto.
Punto 3. Non serve a nulla che gli ottoni ripetano i suoni già eseguiti dagli archi.
Punto 4. Se tali passaggi ridondanti fossero tagliati il concerto potrebbe essere ridotto ad un quarto.
Punto 5. Se Schubert avesse tenuto conto di queste mie osservazioni avrebbe terminato la sinfonia.
E Martinazzoli conclude: “Io invece vorrei vivere in un mondo nel quale si potesse sentire la sinfonia di Schubert così com’è”.
Credo che la stessa conclusione debba valere per la politica, un’attività che non è corretto schematizzare e ridurre a puri numeri.
Buon natale e buone feste a tutti.