Eravamo tutti curiosi, ieri, di conoscere e misurare l’oggetto misterioso, il nuovo presidente del consiglio Giuseppe Conte, figura praticamente sconosciuta e priva di alcuna esperienza politica.

Il suo primo intervento alla Camera, nel dibattito sulla fiducia, è andato oltre le più pessimistiche previsioni, lasciandoci letteralmente interdetti.

Non poteva uscire infatti in modo più spaventosamente evidente la sua impreparazione, la sua inadeguatezza, la sua inconsistenza.

Non sto parlando ovviamente delle sue qualità personali o professionali, che non conosco e non giudico, ma della totale assenza di carisma, di dimensione politica.

Forse perché aveva smarrito i fogli con gli appunti (ma si possono smarrire gli appunti in un’occasione così?), forse perché intimorito da un’aula che obiettivamente non è facile da affrontare, ma il professore è apparso spaesato, incapace di andare oltre frasi generiche al limite della banalità, come un suo studente all’esame che avendo studiato poco si arrabattava alla bell’e meglio.

E più procedeva più la sua incapacità si faceva evidente, e più l’imbarazzo si faceva palpabile in tutto l’emiciclo, ed anche tra i banchi del governo, con applausi che ogni tanto partivano dai banchi di maggioranza più per interrompere e alleggerire l’agonia che per reale convinzione.

Una scena penosa, che ha dato la chiara evidenza di un personaggio messo in quella casella solo per non disturbare i manovratori, una specie di re travicello che non sarà in grado realmente di svolgere il ruolo che l’art. 75 della costituzione gli assegna, quello di dirigere la politica generale del governo.

Tanto che qualcuno, ironizzando sul suo governo che ha promesso la flat tax (tassa piatta), lo ha già ribattezzato il flat premier.

L’unica cosa che ci rimane da sperare dunque è che impari in fretta, che ci stupisca.

Perché non sarà certo facile gestire un programma pieno di promesse che fanno a pugni con i vincoli e le compatibilità di bilancio, che non può essere realizzato se non aumentando in modo insostenibile la pesa pubblica, esponendo il nostro paese a rischi di dissesto finanziario.

E non sarà semplice maneggiare gli sbandamenti sulla collocazione internazionale dell’Italia, che oggi oscilla pericolosamente tra Stati Uniti e Russia, tra europeismo e fronte anti europeista.

E sarà difficile comporre le visioni alternative tra Lega e M5S sulle infrastrutture, sulle politiche industriali, sullo sviluppo economico, così come rendere compatibili i sinistri proclami sulla giustizia con il rispetto per le garanzie e i principi costituzionali.

Un compito immane, difficile per un leader forte e carismatico, figuriamoci per un re travicello, e che spalanca una prateria per l’opposizione.

Ma non illudiamoci.

Non facciamo l’errore di pensare che questo governo imploderà rapidamente: il potere è un potente vento in grado di far navigare anche le navi più malridotte e, ora che è nato, Lega e M5S hanno tutto l’interesse a dare tempo al governo di realizzare qualcosa.

Ma, ancor più, non illudiamoci che basti una implosione del governo, o una opposizione dura ed efficace, a far rifluire verso di noi i consensi.

Su questo punto è meglio essere molto chiari.

Finché non avremo ridefinito una nostra identità, un nuovo sistema di alleanze, una proposta e un’agenda politica completamente rinnovata per il paese, noi non saremo considerati un’alternativa credibile, e non lo saremo soprattutto per coloro che ci hanno voltato le spalle trovando nelle promesse populiste le risposte ai loro bisogni.

Quella crescente area di marginalità sociale nel paese che si arrabatta con un presente incerto e insicuro, e non crede più nel futuro, non si fida più delle classiche ricette, ha bisogno di parole d’ordine nuove e di nuove protezioni che noi non siamo riusciti a disegnare e a offrire. 

E di un fallimento di questo governo, se non ci facciamo trovare pronti, rischiano allora di approfittare altri, magari che urlano ancora di più o fanno promesse ancora più insostenibili.

Allora, accanto ad una opposizione nelle istituzioni e nel paese che faccia emergere tutte le contraddizioni e i rischi cui porta l’attuale governo, occorrerà mettere in campo la fatica della politica, l’intelligenza della politica, per ricostruire un campo di forze, una identità e una proposta capace di offrire un’idea del futuro più attraente di quella populista.

È un compito non facile, che interroga non solo il partito democratico ma tutti i partiti e le forze di centrosinistra dei paesi occidentali.

Ma di qui dovremo passare, se non vogliamo essere travolti dal corso della storia.