La questione Cancellieri mi pare abbia messo a nudo alcuni nodi che da tempo rendono accidentato il percorso politico del nostro partito. Una vicenda che a mio avviso è stata affrontata e gestita in modo poco lineare, e dalla quale la posizione del Partito democratico è uscita in definitiva poco comprensibile. Si trattava di certo di una questione assai delicata, sulla quale si era sedimentato nel corso di queste settimane nell’opinione pubblica la sgradevole sensazione di un trattamento di favore riservato dal ministro ai soliti amici e potenti, in spregio ad ogni norma di opportunità e di correttezza nei comportamenti istituzionali.
Una vicenda dunque che necessitava di una verifica rigorosa ed attenta, di un giudizio equilibrato e serio da parte del Partito democratico, che aveva il dovere di esprimersi in modo chiaro e politicamente comprensibile, assumendo una decisione di sostegno esplicito, ovvero di censura al ministro. Ma dopo un dibattito avvenuto più sulle pagine dei giornali che negli organi competenti, e certamente influenzato dalla fase congressuale che stiamo vivendo, la scelta del Pd è stata sostanzialmente quella di rinunciare ad una discussione interna, e di ribadire la fiducia al ministro sulla base del solo richiamo alla responsabilità del presidente del consiglio. Lasciando così ombre sulla opinione vera del Pd, e sulle motivazioni della propria posizione politica.
Io credo che ciò sia dipeso in definitiva da due nodi che stanno zavorrando in questa fase politica il percorso del Pd, ovvero la mancanza di una leadership chiara e solida, e l’assenza di limpidezza sul nostro ruolo dentro il governo di emergenza che stiamo sostenendo. Due nodi che in parte si legano tra loro. Sotto il primo profilo, pare a me che la lunga fase di transizione che sta vivendo il Partito democratico, da quando cioè il gruppo dirigente che ha gestito le elezioni e la fase post elettorale ha rimesso il suo mandato, si sia trascinata per troppo tempo, anche per effetto dell’incomprensibile slittamento di un congresso che evidente buon senso e ragionevolezza suggerivano avvenisse il prima possibile, e non dopo mesi di tentennamento dedicati a ragionare di regole interne.
Questa condizione di obiettiva debolezza politica del nostro partito non solo ha finito con il rendere flebile la nostra voce, ma ha impedito anche di gestire con la necessaria autorevolezza e risolutezza i difficili passaggi politici che abbiamo vissuto in questi mesi, nei quali la carenza di leadership ha alimentato tensioni e fibrillazioni interne, scaricando sui gruppi parlamentari e sulla delegazione al governo tutta intera la responsabilità di scelte che invece dovevano trovare una loro collocazione dentro un quadro assunto e condiviso in una cornice più ampia, quella appunto che solo un partito è in grado di garantire. Anche in questa vicenda a mio avviso ha pesato molto questa debolezza, così evidente da rendere quasi inevitabile o necessario il ricorso alla ragione di stato per mantenere compatto il partito sulla scelta da assumere. Ma questo nodo trascina con sé anche l’altro grande equivoco che il nostro partito non è riuscito ancora a sciogliere, e che riguarda le ragioni, il modo e gli obiettivi con i quali abbiamo deciso di stare dentro questo governo.
Fin da quando questo governo è nato, in modo del tutto repentino e dopo che ci si era affannati per settimane a sostenere che mai e poi mai sarebbe stato fatto un governo politico con il centrodestra, è mancato completamente un reale dibattito interno che consentisse di rendere chiare, esplicite, e soprattutto condivise quelle ragioni, quelle modalità e quegli obiettivi, alla luce dei quali ogni scelta inerente il percorso difficile che stiamo facendo può e deve trovare idonea collocazione. Anche e soprattutto le scelte che riguardano gli ostacoli e gli incidenti di percorso che inevitabilmente si devono affrontare.
È chiaro allora che la fine del percorso congressuale cha stiamo vivendo può portare con sé alcuni obiettivi ed evidenti benefici, contribuendo a sciogliere quei nodi che rendono così sfuggenti e complicate le posizioni politiche del Pd. Non c’è dubbio infatti che la scelta di un nuovo segretario, con la legittimazione forte che deriverà da un percorso congressuale articolato ed aperto, farà finalmente cessare la sostanziale carenza di leadership che tanto ha pesato in questi mesi.
Ma alla condizione che vengano sciolti una volta per tutte anche i dubbi e le ambiguità inerenti il nostro modo di stare dentro questo governo. Che io immagino e credo debba essere un modo esigente ma convinto, con obiettivi limpidi e chiari sui quali possiamo e dobbiamo scommettere, e attorno ai quali aiutare il governo, pungolandolo e puntellandolo senza infingimenti e senza titubanze. Non nascondiamoci dietro un dito, sappiamo tutti che un governo eccezionale nato in un momento eccezionale si giustifica se raggiunge obiettivi alti, se riesce a dare risposte all’altezza delle sfide difficili che abbiamo di fronte. Occorre essere consapevoli che governare con i nostri avversari rappresenta un obiettivo vincolo e limite, ma anche una opportunità, perché consente di affrontare le riforme di sistema di cui il paese ha assoluta necessità.
Allora si discuta di queste, ci si dia delle priorità, si individuino le cose possibili da qui al 2015 dentro il perimetro politico nel quale ci troviamo, e si lavori alacremente in quella direzione. Solo così, io credo, il Partito democratico riuscirà a recuperare il centro di gravità in grado di garantire solidità di visione e chiarezza di comportamenti.