Ieri il ministro Orlando ha presentato in aula il rapporto sullo stato della giustizia italiana.
Ovviamente la disamina è stata molto articolata, e non si sono mancate di sottolineare le difficoltà, le carenze, le criticità, le patologie che paiono oramai affliggere endemicamente la nostra giustizia.
Vi sono peraltro spiragli di una inversione di tendenza, e alle volte valgono più i numeri delle parole.
Voglio fare parlare loro.
Nei prossimi due anni il personale amministrativo aumenterà di circa 4.000 unità, andando a coprire una parte delle gravi carenze di organico dei vari uffici. Era da almeno 25 anni che non vi era un iniezione così massiccia di nuovo personale.
Rispetto al 2014 le risorse complessivamente assegnate all’amministrazione della giustizia sono aumentate di circa 1 miliardo.
Di questi, ben 150 milioni sono assegnati alla digitalizzazione dei processi, una dote raddoppiata rispetto all’anno scorso e triplicata rispetto al 2012.
Ad oggi, il processo telematico ha consentito 15 milioni di comunicazioni tramite computer, con un risparmio stimato di 53 milioni di euro.
Le pendenze dei processi civili si sono ridotte da 6 milioni (il picco del 2009) a 4,2 milioni, e sono destinate a scendere sotto i 4 milioni nel 2016.
Il sovraffollamento carcerario, vera e propria emergenza fino a soli due anni fa, è stato arginato: i detenuti sono oggi poco più di 52.000, con una capienza complessiva dei penitenziari poco sotto le 50.000 unità.
Non per questo sono diminuiti i soggetti sottoposti ad esecuzione penale, che oggi sono anzi più di pochi anni fa: solo che una parte molto maggiore oggi sconta la pena con misure alternative. Il rapporto tra detenuti e soggetti in esecuzione penale esterna era di 3 a 1 fino a pochi anni fa, oggi si è ridotto a 1,2. Quasi come nella media europea, che è di 1 detenuto per 1 soggetto in misura alternativa.
I detenuti in attesa di giudizio, dunque in custodia cautelare, sono diminuiti da oltre 11.000 fino a 8.500.
Sono in corso di conclusione i concorsi che faranno entrare in servizio alcune centinaia di nuovi magistrati.
Per la prima volta quest’anno sono state misurate, in modo scientifico, le performance dei tribunali italiani: oggi sappiamo chi lavora bene e chi lavora male.
A tutto ciò vanno aggiunte le riforme in itinere: da quella del processo e dell’esecuzione penale a quella del processo civile, dalla riforma delle procedure concorsuali alla nuova organizzazione dei tribunali con l’ufficio del processo.
Va tutto bene dunque?
No di certo, e sarebbe sciocco e miope sostenere il contrario.
I tempi dei processi sono ancora eccessivi, le carenze di organico diffuse e rilevanti, le performance di giudici e tribunali troppo difformi.
Ma sarebbe altrettanto sbagliato non riconoscere i progressi di questi ultimi due anni, davvero rilevanti e misurabili.
La strada intrapresa è dunque quella giusta, e credo che grande merito debba essere attribuito alla saggezza e lungimiranza del ministro Orlando, e forse anche un po’ al lavoro davvero intenso profuso in questi anni dalla commissione giustizia.