La dichiarazione di voto che ho fatto oggi, a nome del partito democratico, sull’introduzione del reato di depistaggio.

 

Col voto di oggi introduciamo nell’ordinamento giuridico una nuova fattispecie di reato, rubricata significativamente inquinamento processuale e depistaggio.
Lo facciamo dopo una discussione approfondita, seria che abbiamo condotto in commissione e in aula, e che ci consente di ritenere che la nuova figura di reato si inserisce in modo armonico e coerente nell’ambito dei delitti contro l’amministrazione della giustizia, individuando in modo puntuale le condotte punite, caratterizzate da dolo specifico, sanzionandole con pene proporzionate alla gravità dei comportamenti, e prevedendo significative aggravanti allorché i comportamenti siano commessi da pubblici ufficiali o in relazione a fatti eversivi dell’ordinamento costituzionale o legati a criminalità organizzata.

Come sempre capita quando si introduce un nuovo reato nell’ordinamento, credo sia doveroso domandarsi in modo serio e rigoroso se ciò risponda ad una effettiva necessità, se vi siano cioè ragioni che consigliano di punire con la risposta penale alcuni comportamenti considerati particolarmente dannosi o pericolosi per la convivenza civile.

E ciò è tanto più doveroso in questo caso se si considera che nel nostro codice penale, al pari di tutti gli altri ordinamenti, sono già presenti fattispecie che puniscono comportamentig tesi a ostacolare il buon funzionamento della giustizia.

Io credo che per capire dobbiamo partire da qui, dal riconoscimento che in questo nuovo delitto, si riflette la peculiarità della nostra storia, della storia della nostra democrazia repubblicana.

La storia di una democrazia nata sulle macerie, dalle ceneri e dal dramma della guerra e del fascismo, che si è faticosamente consolidata nel corso dei decenni passando attraverso momenti difficili, che ha dovuto fronteggiare fenomeni come terrorismo politico e criminalità organizzata sconosciuti, nelle dimensioni che abbiamo avuto da noi, alle altre democrazie occidentali.

E’ doveroso, oggi, ricordare cosa ha rappresentato il terrorismo per quesito paese, quei 15 anni definiti con felice intuizione giornalistica la notte della repubblica, inaugurati con la terribile strage di piazza fontana, proseguiti in una lunga stagione di sangue che, nell’intento di condizionare i normali processi democratici, ha colpito cittadini inermi con bombe nelle piazze, sui treni, nelle stazioni, e poi servitori dello stato, poliziotti, magistrati, carabinieri e alcune tra le migliori figure della nostra storia politica.

E non credo occorrano molte parole per descrivere cosa ha significato e cosa significa per il nostro paese la soffocante presenza della criminalità organizzata, che per tutelare il proprio potere e i propri illeciti interessi e’ arrivata a sfidare apertamente la istituzioni repubblicane con attentati feroci e sanguinosi tra gli anni 80 e 90.

Noi sappiamo, oggi, quanto quegli attacchi alle nostre istituzioni abbiano pesato nell’evoluzione della nostra democrazia.

Certo, le istituzioni hanno vinto, il terrorismo è stato sconfitto, la grande criminalità organizzata è stata se non estirpata certamente piegata, ma il nostro paese ha pagato a quella storia un prezzo alto, non solo in termini di vite umane spezzate, ma anche di rallentamento nel consolidamento della nostra democrazia, del senso di appartenenza allo stato, del progresso civile, un prezzo elevato, in buona sostanza, in termini di pregiudizio alla qualità complessiva della nostra democrazia.

In tutto ciò pesa enormemente il mancato accertamento della verità processuale, la persistenza di troppi grumi di opacità su troppi di quei delitti, su troppe di quelle vicende così politicamente rilevanti per il nostro paese, cui hanno contribuito in modo massiccio gli ostacoli, le deviazioni, le mistificazioni, le connivenze di apparati deviato e servitori dello stato infedeli, di gruppi organizzati e segreti che hanno agito nell’ombra e a danno delle istituzioni.

E guardate, non sono tesi di visionari, di amanti incalliti di dietrologie e misteri, ma ce lo dicono le sentenze, le centinaia di migliaia di pagine di inchieste su quei delitti, che raccontano di reti protezione pronte a mobilitarsi per gli indagati, di informative dei servizi segreti mai comunicate all’autorità giudiziaria o artatamente modificate, di elementi di prova, reperti, documenti, distrutti o alterati o costruiti a tavolino, di testimoni o imputati fatti sparire o ammazzati.

Senza tutto ciò, senza l’intervento di queste manovre occulte e sotterranee che comunemente noi definiamo di depistaggio delle indagini, l’accertamento delle responsabilità individuali e la condanna degli colpevoli sarebbe stata possibile, la verità sarebbe stata possibile.

E la mancanza di giustizia, la mancanza di verità non offende solo le vittime e i loro familiari, ma rende opaca la nostra democrazia, costituisce motivo di sconforto e sfiducia per i cittadini, e io credo in fondo costituisca motivo non irrilevante dello scollamento e della diffidenza dell’opinione pubblica nei confronti delle istituzioni, della scarsa fiducia nello stato, della incapacità di sentirci dentro un percorso comune che ci renda meno frammentati e più società, meno individui e più comunità solidale.

Tutto quello che è successo dunque ci segnala un limite della nostra democrazia, che ha dovuto fare i conti in questo lungo e difficile percorso con troppe opacità, con troppi interventi occulti.

Noi sappiamo bene che laddove c’è il potere, li c’è la tentazione di uno spazio di segretezza, perché tanto più il potere e invisibile tanto più e efficace.
Ma sappiamo anche che quanto più lo spazio di segretezza si allarga, tanto più si pregiudica la qualità della democrazia.
Come diceva Norberto Bobbio “Democrazia e potere invisibile, quelli che un tempo si chiamavano arcana imperii, sono incompatibili. La democrazia è il governo del potere visibile, il governo pubblico in pubblico. La differenza tra democrazia e autocrazia sta nel diverso rapporto che l’una e l’altra hanno col segreto. Nell’autocrazia la segretezza è la regola, nella democrazia, là dove la ragione di Stato lo richiede, è l’eccezione e deve comunque essere regolata e controllata dal potere visibile”.

Ed è questo che rende inaccettabile che nel nostro paese si sia potuto consentire la costante presenza di questi elementi torbidi, e non si sia riusciti a punire adeguatamente i loro comportamenti che hanno impedito, ostacolato o rallentato il corso delle inchieste su tutti i gravi attentati che hanno inciso così profondamente sulla qualità della nostra democrazia.

Questa nuova fattispecie di reato allora non è un risarcimento postumo, non è un segnale tardivo e inutile, non è una medaglia di plastica da appuntarsi al petto, ma costituisce il tentativo di dotare la magistratura degli strumenti idonei a perseguire in modo efficace quei comportamenti, e per questa via rappresenta il monito che il parlamento della repubblica, intende dare, sulla scorta della nostra dolorosa esperienza, a falsari e depistatori, a servitori infedeli e a chi pensa di condizionare la democrazia nell’ombra. Non sarà più tollerata alcuna doppiezza, alcuna doppia o tripla fedeltà, alcuna manovra torbida, alcuna opacità.

E un servizio che dunque intendiamo rendere alla trasparenza e alla limpidezza, e per questa via alla democrazia, ai valori della nostra costituzione repubblicana.

E permettemmo infine di ricordare gli amici, i familiari delle vittime che, esponendosi in prima persona o in modo o più riservato e personale, hanno contribuito a mantenere viva le memoria e il ricordo di quei delitti, da Paolo Bolognesi, alla cui tenacia si deve l’approdo di questa legge, a Manlio Milani, da Benedetta Tobagi a Mario Calabresi, da Agnese Moro a Silvia Giralucci, alla famiglia Borsellino. Credo che anche a loro, oggi, sia doveroso tributare un ringraziamento.