Siamo ancora turbati per l’onda di piena che ci ha travolto.
Che ha spazzato via cinque anni di buono, anzi di ottimo governo, che ha spuntato le unghie dei presunti o autonominatisi moderati, di una parte e dell’altra, che ha ridotto a percentuali marginali la sinistra, che ha gonfiato le vele del rancore e della protesta oltre ciò che era ipotizzabile.
Ci eravamo illusi che per combattere il populismo dilagante da noi come in tutto l’occidente bastasse governare bene, fosse sufficiente un riformismo concreto, dei piccoli passi, delle scelte oculate e ragionevoli, bastasse esibire i risultati economici.
Ci sbagliavamo, di molto.
La rabbia, la paura, le incertezze e le insicurezze di questo tempo sono molto più radicate e profonde, originano da una acuta perdita di speranza nel futuro, da una condizione di ristrettezze e difficoltà che hanno da tempo colpito la classe media, dall’infinito e apparentemente inarrestabile flusso migratorio di disperati.
Tutti temi e nodi che se non si aggrediscono in modo deciso e radicale comportano l’unica risposta possibile, quella della rivolta contro le presunte élite, contro il sistema, contro le risposte della politica moderata e misurata.
È una lezione dura e pesante, che arriva come uno tsunami da noi dopo aver fatto vittime eccellenti in altre democrazie, anche di più lunga tradizione della nostra.
E da qui occorrerà ripartire, per ricostruire un profilo e una proposta politica che tengano insieme le risposte urgenti e possibili a quelle ansie e paure impedendo le derive subdolamente sovraniste, isolazioniste, nazionaliste e populiste che incarnano i partiti e movimenti vincitori delle elezioni.
Ora però siamo dentro le tempesta, e occorre agire con sangue freddo e serietà.
Sappiamo bene che, nonostante la nostra sconfitta, né il centrodestra a trazione leghista, né il m5s hanno raggiunto i numeri per governare il paese.
L’onere e la responsabilità spetta a loro, perché il mandato degli elettori è chiaro, ma la frammentazione dei consensi, e la netta distinzione geografica delle rispettive basi elettorali, non ha consentito di raggiungere la maggioranza.
Sappiamo anche che, per quanto in astratto possibile, una intesa tra populismi appare nella realtà molto complicata, per ragioni politiche, perché la Lega non può staccarsi da Forza Italia senza mettere a repentaglio tutte le amministrazioni che governano insieme, ed anche per ragioni di merito, perché le due proposte principali di M5S e Lega, rispettivamente il reddito di cittadinanza e la flat tax sono tra loro incompatibili, anzi antitetiche.
Ecco perché cominciano a cantare le sirene rivolte a noi, agli sconfitti, al terzo polo che per quanto ridimensionato dalle urne oggi detiene il pacchetto di voti necessario e indispensabile a chiunque voglia governare.
Che fare dunque?
Io credo che una sola sia la stella polare che deve guidare ogni nostro ragionamento, cui deve guardare ogni nostra decisione, ovvero l’unità del partito.
Noi abbiamo bisogno di tempo per ricostruire una fisionomia politica che ci faccia uscire dall’angolo, ma in questo preciso momento, dentro la tempesta che rischia di travolgerci dobbiamo evitare qualunque azzardo, qualunque mossa avventata che possa mettere a repentaglio la nostra unità, e dunque la nostra stessa sopravvivenza.
Credo sia una necessità non solo nostra, del nostro partito, ma anche della democrazia italiana.
E ad oggi, nelle condizioni attuali, la nostra unità possibile si costruisce dentro un profilo netto di opposizione, di alternativa, che ci impedisce qualunque abboccamento con i nostri avversari, con coloro che hanno vinto le elezioni su proposte e progetti incompatibili con i nostri valori e la nostra idea del paese e dell’Europa.
Ogni azzardo in quella direzione sarebbe, in questo momento, un colpo temo esiziale per la nostra sopravvivenza.