Ieri, all’incontro organizzato insieme al PD per mettere a fuoco il crescente problema della povertà minorile, abbiamo ascoltato tanti numeri, tante cifre, tante idee, in grado di tracciare, di per sè soli, una strada sulla quale il nostro paese dovrebbe finalmente incamminarsi.
Intanto i numeri della povertà minorile: oggi quasi il 14% dei minori italiani vive sotto la soglia di povertà assoluta, una percentuale cresciuta enormemente in questi anni di crisi, tanto che oggi in Italia i poveri assoluti (quelli cioè che non hanno risorse sufficienti a soddisfare i bisogni primari) si concentrano proprio nella fascia di età tra i 2 e i 19 anni, in cui sono il doppio che nelle altre fasce di età.
La povertà in questi anni di crisi è dunque avanzata soprattutto tra i minori, molto meno tra gli anziani.
Il motivo è molto semplice: con una spesa destinata al welfare non dissimile da quella degli altri grandi paesi con cui si confronta, l’Italia si colloca al primo posto in Europa per spesa pubblica per anziani, e molto più indietro per quella destinata ai minori.
Dunque gli anziani hanno retto meglio la crisi perchè la nostra spesa per il welfare è sbilanciata a loro favore.
Eppure si è sottolineato, dati alla mano, che investire nei minori, nei più piccoli in particolare, è molto più produttivo.
Ci sono studi che dimostrano che i bambini che frequentano gli asili nido sono molto più brillanti degli altri, sviluppano le loro capacità in modo più efficace e sono più bravi negli studi. Non solo, ma è provato che il ritorno economico di un euro investito in un servizio per un bambino della fascia 0-3 anni è esattamente il triplo di quello investito in una università.
Di più, i servizi dedicati alla fascia 0-6 anni riducono la povertà del 74%! C’è un solo piccolo particolare, che in Italia a quei servizi accedono solo l’11% dei bambini.
Questi dati ci dicono due cose.
La prima, che siamo un paese gerontocratico, incapace di scommettere sul futuro, e tutto il sistema è avviluppato da questa spira (come dimostrato dalla sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni).
La seconda, che quando si parla di welfare, occorre sapere che più che le politiche redistributive, o quelle di mera erogazione monetaria, è la qualità e l’accesso ai servizi che garantisce più efficacemente la riduzione delle disuguaglianze e l’inclusione sociale.
Occorre allora un grande cambio di passo, di paradigma.
Occorre che la politica, che la nostra società si incammini in modo deciso verso una nuova stagione, nella quale i minori tornino al centro dell’attenzione del welfare, in cui si punti con decisione sui servizi, sulla loro qualità, sulla loro accessibilità, e si modifichi di conseguenza la composizione della nostra spesa pubblica.
Stiamo mettendo a rischio il nostro futuro, e non possiamo permettercelo.