Oggi, dopo quasi cinque mesi dall’avvio della legislatura, la Camera si chiude per la pausa estiva.

Cinque mesi di nulla, anche al netto delle prime settimane di inattività dovute al faticoso parto del governo Conte.

Nessun progetto di legge in questi mesi è arrivato in aula, né di iniziativa governativa, né di iniziativa parlamentale, ma solo la conversione di quattro decreti legge: sul tribunale di Bari, sul lavoro (il decreto Di Maio), sull’attuazione degli accordi con la Libia, sullo spacchettamento del ministero dei beni culturali.

Niente altro.

Anche la commissione giustizia, che nella scorsa legislatura ha lavorato moltissimo, ha partorito poco o nulla: qualche parere e poco più.

Un bilancio magrissimo dal punto di vista legislativo, prova evidente delle difficoltà in cui si dibatte la maggioranza nel tradurre in proposte concrete, in visibile indirizzo politico un’alleanza che, per il momento, trova il suo cemento nella spartizione, nell’assalto alle nomine e agli incarichi, e in una sorta di distinzione di ruoli tra M5S e Lega che appare oggi un elemento di forza, anziché una obiettiva debolezza.

La Lega si occupa di immigrazione e sicurezza, cavalca le paure degli italiani con slogan e iniziative che, lo abbiamo capito, sono oramai il pane del consenso dei sovranisti, da Trump fino a Orban. Una emergente e nuova forma di nazionalismo che, per chi conosce la storia, non può che risultare sinistro e preoccupante.

Il M5S lascia fare, asseconda, e in cambio ha ricevuto in appalto esclusivo i temi sociali, dalla povertà al lavoro, che ha cominciato ad affrontare in modo affrettato e contraddittorio con il decreto Di Maio.

Apparentemente, e stando ai sondaggi, questo schema funziona: i distinti e separati elettorati cui si rivolge la maggioranza paiono appagati, non sembrano porsi problemi di contraddizioni, quasi viaggiassero su binari paralleli che non si incrociano mai.

Ma qualche piccola crepa, nonostante gli sforzi nel troncare e sopire dei due vicepremier, comincia a emergere.

Sulla grandi opere infrastrutturali, le evidentissime divergenze di approccio e visione tra M5S e Lega sono per il momento sedate dal rinvio continuo delle decisioni: ma quando le scelte non saranno più rinviabili, di certo quelle divisioni saranno destinate e deflagrare.

E le tensioni sotterranee che già si sono registrate su temi tutt’altro che secondari come politiche industriali, politiche energetiche, e politiche del lavoro non mancheranno di allargarsi.

Così, c’è da immaginare che sarà altrettanto faticosa la composizione delle visioni nelle scelte di bilancio, a partire dal Def, che dovrà essere approvato nel prossimo settembre.

In sintesi, credo che la navigazione di questa maggioranza sarà più accidentata e perigliosa di quanto oggi immaginiamo.

Ma tutto ciò non ha impedito al governo fino ad oggi, né gli impedirà nel futuro prossimo, di assumere decisioni e iniziative che rischiano di provocare danni irreversibili al paese.

Le incertezze e le indecisioni sul percorso e gli indirizzi di politica economica hanno già determinato un calo di fiducia che si è riflesso in un aumento, oramai consolidato, del tasso di interesse sul debito pubblico: una tassa occulta che si stima peserà per almeno 4 miliardi sul bilancio dello stato.

L’assalto agli incarichi ha già comportato l’azzeramento del miglior management degli ultimi anni di FS, e l’occupazione certosina dei posti di comando della tv pubblica.

Ma altre nubi si addensano all’orizzonte, nere e sinistre. 

A partire proprio da snodi decisivi per lo sviluppo come le infrastrutture strategiche: sulle quali già il ministro Delrio aveva fatto una accuratissima opera di scrutinio e riprogrammazione, e che l’ostilita’ ideologica e pregiudiziale del M5S sta mettendo seriamente a repentaglio, col rischio di uno spreco irrimediabile di risorse e opportunità.

Un atteggiamento che si ritrova anche sulla questione dell’Ilva, la più grande acciaieria italiana, un’azienda che da’ lavoro in un’area depressa a oltre 14.000 e persone, molte di più se si guarda all’indotto, fondamentale per l’industria manifatturiera italiana, e che Di Maio sembra oramai intenzionato a dismettere e smantellare.

O ancora l’incredibile vicenda dei vaccini, il cui obbligo è stato di fatto smantellato dalla ministra della salute, che evidentemente sul tema la pensa come il compagno di partito Barillari, consigliere M5S in regione Lazio, il quale ha testualmente dichiarato: “la politica viene prima della scienza. La scienza deve essere democratica”. 

Come se la legge di gravità, o la teoria della relatività, per essere validate dovessero essere sottoposta a referendum popolare!

Un’impostazione antiscientista e oscurantista che, in questo caso, mette a rischio la vita dei bambini, in particolare di quelli immunodepressi.

Di fronte a tutto questo, appare sempre più urgente offrire al paese un’alternativa che gli consenta di uscire quanto prima da una deriva che rischia di trasformarsi in incubo. È il compito che ci aspetta di qui all’autunno, quando finalmente sarà avviato il percorso congressuale del partito democratico. Una grande occasione di aggiornamento e rinnovamento della nostra visione del paese.