“Questa frase assume straordinario valore e consente di inchiodare alla sue responsabilità il Tiziano Renzi in quanto dimostra che effettivamente il Romeo e il Renzi si siano incontrati“.
Questo il commento che accompagnava, nella relazione dell’ufficiale dei carabinieri, l’intercettazione che oggi si è scoperto essere stata trascritta sbagliata.
Dunque non solo la trascrizione attribuiva a qualcuno parole in realtà pronunciate da altri, ma l’ufficiale enfatizzava il significato probatorio di quell’errore.
Si può credere che, stante la consapevolezza dell’importanza dell’intercettazione, l’ufficiale non l’abbia ripetutamente controllata? Si può credere che la procura di Napoli, che ha preso per buona la trascrizione, non l’abbia verificata?
Saranno altri magistrati, e segnatamente la procura di Roma, che meritoriamente ha scoperto l’errore, a valutare e giudicare.
Ma non sfugge a nessuno ciò che questo episodio scoperchia.
Una inchiesta che coinvolge il padre dell’ex presidente del consiglio, del leader del più grande partito italiano, dunque una indagine di una delicatezza estrema, poiché in grado di condizionare la vita pubblica del paese, di deviare il corso della democrazia italiana, viene trattata da organi pubblici dello stato quali polizia giudiziaria e procura della repubblica nel migliore dei casi con una superficialità sorprendente e incredibile, nel peggiore con un intento politico che non esita a manipolare le prove per precostituirne l’esito.
Si tratta allora di una circostanza inquietante per il corretto funzionamento dei meccanismi democratici del paese.
E che approfitta di un clima da repubblica giudiziaria che, in una morsa soffocante, da anni affligge oramai l’Italia.
Perché oggi, per condizionare la vita democratica, non occorre organizzare un golpe: basta una manina lesta su un indizio di prova, basta una relazione piena di giudizi apodittici della polizia giudiziaria, basta la gogna mediatica che da ciò ne scaturisce.
Si approfitta di una politica debole e fragile, di istituzioni paralizzate da instabilità permanente, incapaci di resistere alle pressioni emotive dell’opinione pubblica, di attendere gli esiti di inchieste che spesso si rivelano inconsistenti.
Di tutto ciò alcuni pubblici ministeri e una parte dei media pensano di poter approfittare, incuranti del fatto che così facendo contribuiscono al declino del nostro paese.
Occorre reagire.
È confortante registrare la serietà con la quale hanno agito nell’occasione la procura di Roma e una parte dell’arma dei carabinieri.
Ma questa vicenda è un ammonimento severo a tenere nervi saldi e schiena dritta anche dentro questo vento che soffia pericolosamente sulla vita democratica del paese.